“Questa è una partita che perderemo tutti“. Una frase che riassume il significato dell’opera di Valerio Cattano “Lettera al capo della polizia” interpretata dal maestro Piero Sammataro nei panni del Commissario Nello Carbonaro al Teatro del Canovaccio dal 14 al 17 dicembre. Le parole del pentito Lampuca sono da leitmotif per tutto lo spettacolo che vede intrecciare affari economici, politici e mafiosi all’interno del commissariato di Marina, un’immaginaria cittadina siciliana degli anni ’30. Un susseguirsi di colloqui, ricatti, ripensamenti e una miscela di legalità offuscata dall’omertà e dal complotto che creano un muro di gomma dove il Commissario Carbonaro alla fine andrà a sbattere.
Un flauto suonato in maniera quasi stanca ha fatto da colonna sonora all’opera grazie al sapiente lavoro di Marco Di Mauro. Gli attori Saro Pizzuto, Lorenzo Falletti, Francesco Di Lorenzo, Salvo Musumeci, Consuelo Priolo e Orazio Arena hanno saputo fare da corollario all’intera impresa del Commissario Carbonaro di voler distruggere il sistema di potere che vigeva sulla città nella quale ha scelto di vivere con la famiglia e lavorare. I costumi, semplici, di Rosy Bellomia e una sceneggiatura molto asciutta hanno ribadito l’essenzialità dell’opera.
Bello il colloquio di Sammataro con il pubblico che ha spiegato passo dopo passo l’avvicendarsi della sua carriera lavorativa e delle sue indagini contro la mafia locale.
La trama gira attorno alla cattura di Gino Lampuca, latitante da dieci anni. Falco, ispettore di polizia, è il fedele aiutante del Commissario Carbonaro. A fare da alter ego ai due sono il Procuratore Coco e il dott. Zizzo che in stretti rapporti con il Sottosegretario Macallè rallentano le indagini e portano all’arresto dei due poliziotti.
Lo sforzo dell’avvocato Vizzini non riesce a sconfiggere la corruzione che si trova tra le aule del tribunale e le stanze della politica e così, dopo aver ottenuto il rilascio dei due, ogni personaggio della storia arriverà ad una fine più o meno oscura. La parte finale dell’opera descrive la disperazione e la morte del Commissario Carbonaro in un incidente stradale nelle parole incredule del suo amico e fedele compagno di lavoro Falco.
Quella lettera scritta al capo della Polizia durante la sua attività lavorativa di Marina viene stracciata da un Commissario Carbonaro ormai distrutto dall’opera di corruzione di Istituzioni e forze di polizia. Questo ricorda come a distanza di tempo dall’epoca in cui si adatta l’opera di Cattano ancora oggi e negli ultimissimi decenni si siano ripetute storie reali simili a quelle di Carbonaro e che grazie alla semplicità di un’opera fanno male come una mattonata.
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