Il 7 marzo 1996 entrava in vigore la Legge109 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Una svolta epocale nel contrasto alle mafie nel nostro Paese. Un sogno divenuto realtà, grazie all’impegno pagato con la vita dell’allora segretario regionale del Pci Pio La Torre. Attualmente l’agenzia dei Beni sequestrati e confiscati gestisce 17.577 beni immobili e 2.200 aziende in Italia, la maggior parte sono in Sicilia. Il figlio di Pio La Torre ricorda il grande impegno di suo padre e cosa ne resta oggi:
«Luci ed ombre, questo rimane. – esordisce Franco La Torre – perché come talvolta accade si conquista un diritto, una legge, e poi si ha difficoltà nella sua piena applicazione. Dopo il 1996, anno in cui entrò in vigore la legge 109, che permette di chiudere il cerchio dopo la Rognoni- La Torre, abbiamo dovuto attendere che l’allora governo Berlusconi facesse nascere l’Agenzia dei beni confiscati, e quando nacque aveva organico di appena 30 persone per tutte e cinque le sedi: Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Roma e Milano. Caruso, l’allora direttore, denunciò le difficoltà nel gestire tutto il patrimonio, ma non si sortirono grossi risultati».
Franco La Torre, classe 1956, è uno storico, ambientalista e cooperante internazionale, dal 2002 al dicembre 2015 è stato anche membro della Presidenza di Libera. «La legge 109 è una norma di straordinario valore nel contrasto alle mafie – aggiunge La Torre – permette di restituire alla società civile un bene sottratto alla mafia. Adesso occorre che il parlamento approvi il pacchetto giustizia così da rendere ancor più efficace il contrasto con una rotazione degli incarichi, impedendo all’Amministratore giudiziario di gestire contemporaneamente più aziende sequestrate. La gestione delle aziende sequestrate alla mafia è molto complicata, infatti moltissime sono quelle che non ce la fanno, quelle che riescono a sopravvivere sono d’avvero poche, pochissime».
Poi si affronta un altro tema, potremmo dire un grande classico ormai, e cioè l’antimafia che tanto ha fatto discutere in questi ultimi mesi, dal caso Helg a quello che ha investito la giudice Saguto: «Montante non dovrebbe essere il riferimento dell’antimafia per Confindustria perché è indagato – continua il figlio del sindacalista – ma sappiamo che l’antimafia funziona a intermittenza come fosse un semaforo. È anche vero che la mafia si è evoluta e l’antimafia fatica a starle dietro, a coglierne i cambiamenti, ma è l’antimafia che riguarda le istituzioni e la politica quella che arranca di più. Sentiamo parlare di mafia solo quando qualche giornalista tira fuori qualche caso, ma di certo non è una priorità nell’agenda politica. Anche il mondo della cultura però potrebbe fare e non fa, Sciascia è morto, il mondo della cultura dovrebbe fornirci chiavi di lettura per aiutarci a capire e meglio interpretare il mondo che stiamo vivendo ma non lo fa».
«Io tornerò a vivere a Palermo – conclude La Torre – per adesso vivo a Roma, capisco quelli che vanno via dal Sud ma prima di andare mi piacerebbe che i giovani provassero a rimanere e a coltivare i propri sogni nella loro terra d’origine, dopo averle provate tutte, se non si è riusciti, capisco chi va via».
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