La “guerra” di Pierpaolo

«Grazie a tutti e spero che lo abbiate apprezzato anche nella sua “estrosità”. La mamma di Pierpaolo».

Un commento, apparso il 20 aprile su Step1, nove giorni dopo l’incidente alla raffineria Saras di Sarroch. Quel giorno Pierpaolo Pulvirenti, studente catanese di Farmacia, ha perso la vita dopo aver respirato un gas pericolosissimo per i polmoni, l’anidride solforosa, da cui deriva l’acido solforico, che viene usato nei grandi impianti di raffinazione del petrolio. Era il suo primo giorno di lavoro. Era, addirittura, la prima, semplice, mansione. Una mansione che non prevedeva nemmeno l’uso delle maschere antigas o particolare esperienza sul campo: doveva pulire parte di una colonna di distillazione. «Sicuramente non tutto è andato alla perfezione alla Saras. E sicuramente non ci sono responsabilità dei ragazzi. Questa è l’unica verità che ci è permesso di conoscere al momento».

È un pomeriggio di maggio. Milena Basile e Salvatore Pulvirenti hanno solo una certezza sulla morte del figlio: non ha fatto nessun errore. La mancanza di esperienza sul campo, tanto citata e data come possibile causa della tragedia nelle varie interviste ad operai ed esperti lette in questi giorni sui giornali, «non c’entra nulla».

I genitori di Pierpaolo mi accolgono in casa per parlare dell’accaduto. La forza, forse anche la faccia tosta per chiedere questo incontro mi viene proprio da quel commento: una madre parla del figlio, e nel dolore trova la forza di ringraziare tutte le persone che sono intervenute al funerale. «C’era tantissima gente, tanto che molte persone a noi vicine non sono nemmeno riuscite ad entrare».

Un giovane uomo, dietro un numero, il 115, nella guerra annuale dei morti sul lavoro in Italia. Amato ed apprezzato da chiunque lo conoscesse: Pierpaolo era “estroso”. Una descrizione insolita, forse per farci comprendere subito quanto amore per la vita ci fosse in questo ragazzo di appena 23 anni.

Chi era Pierpaolo, e cosa ha lasciato dietro di sè? Non senza imbarazzo, è la prima cosa che chiedo.
«Lui è sempre stato estremamente eclettico». Rispondono entrambi i genitori, poi il padre aggiunge: «era molto portato per i lavori manuali: si arrangiava a fare i lavori di casa, dall’aggiustare i rubinetti, a tingere le pareti. Sapeva anche smontare e rimontare un motorino. Gli piaceva sapere come funzionano le cose. E disegnava». «Aveva una grande passione per il disegno, fin da bambino. In questi giorni sto cercando un mobile in cantina, con su un’aquila che Pierpaolo ha disegnato quando aveva solo 7 anni», aggiunge la signora Basile.

Pierpaolo, mi racconta la madre, aveva frequentato l’Istituto d’Arte. «In farmacia ci è finito dopo non aver superato il concorso per la scuola da tecnico radiologo. Poi però si è appassionato». Ma non ha mai abbandonato il disegno, «poco tempo fa ha illustrato un intero libro», mi dice il signor Pulvirenti, «ma non ti dico il contenuto». Pensando a questi disegni quasi sorride. «Era molto ironico e autoironico, potete vederlo anche nei video che sono adesso nel gruppo a lui dedicato su facebook».

Pierpaolo non era alla sua prima esperienza lavorativa. Da ragazzo eclettico, pur cercando di non togliere tempo allo studio, «aveva fatto di un hobby un lavoro part-time»: il fine settimana lavorava da videooperatore, andava a riprendere le gare automobilistiche, gare a cronometro e rally in tutta Italia. «Partiva il venerdì e tornava la domenica, insieme ad un gruppo di amici di un’agenzia free lance catanese».

Come mai allora ha deciso di diventare temporaneamente operaio e di andare a lavorare in un impianto petrolchimico? E come mai proprio alla Saras, in Sardegna.
Il padre sospira appena prima di rispondere. «L’opportunità è venuta tramite un collega, Gabriele, il cui padre è capocantiere della Star Service. Ho acconsentito alla sua idea di andare in Sardegna perché mi sono detto “un padre non porterebbe mai il proprio figlio in un luogo pericoloso”. Mi ha detto “Papà, voglio farlo”, per mettere da parte qualcosa anche per l’estate».

L’incidente, che ha coinvolto anche il collega universitario di Pierpaolo Gabriele Serranò – che per fortuna è riuscito a salvarsi -, era una ipotesi remota, trattandosi di una mansione-base. «Dovevano fare la pulizia della torre di distillazione, che doveva essere completamente vuota, senza gas. La consegna dei lavori di bonifica era stata effettuata, e doveva essere tutto in regola. Su quel che è accaduto possiamo per ora fare solo supposizioni».
«Non aveva mai fatto l’operaio prima di allora. Guadagnare mille euro in 20 giorni era una proposta allettante per un ragazzo di 23 anni. Alla prima mansione, dopo alcuni giorni di corso, è successo l’incidente», conclude la madre.

Il pubblico ministero di Cagliari ha aperto un’inchiesta sull’incidente, e iscritto nel registro degli indagati il direttore dello stabilimento di Sarroch e il direttore della Star Service. Credete che sia un “atto dovuto”, come molti quotidiani nazionali hanno scritto, o che alla fine ci siano gravi responsabilità e negligenze?
«Crediamo anche noi che sia un atto dovuto per il direttore della Star Service. Tutto era apparentemente in regola dal punto di vista tecnico. Il direttore della raffineria è indagato, e il magistrato ha sequestrato l’impianto per una decina di giorni, e solo da mercoledì 27 è ripresa l’attività. Sappiamo solo che per il lavoro di quel giorno non era previsto l’uso di maschere: nessun pericolo quindi». Ci dice la signora Basile, poi il padre di Pierpaolo aggiunge. «Sappiamo che l’incidente non è simile a quello del 2009 dal racconto della madre di uno di quei ragazzi morti. Loro erano operai con grande esperienza e mansioni molto più complicate. E anche la responsabile delle relazioni esterne della Saras nei colloqui privati con noi ha fatto una ammissione in questo senso».

Quindi a quanto sapete è esclusa qualunque “imperizia” dei ragazzi nell’incidente?
Risponde la mamma di Pierpaolo. «Non si capisce da quanto è stato scritto sui giornali, ma i ragazzi non hanno nemmeno iniziato il lavoro: il getto di anidride solforosa li ha investiti all’esterno, appena aperto il passo d’uomo attraverso il quale sarebbero dovuti entrare». «Il terzo ragazzo, di cui si è scritto che si è salvato per maggiore “esperienza”», prosegue il signor Pulvirenti «non si è rotto la gamba scappando, come scritto sui giornali, ma è anche lui stato investito dal gas, tanto che ha perso i sensi ed è caduto, provocandosi un trauma cranico. E i soccorsi hanno avuto qualche intoppo che li ha in parte ritardati». «Nella prontezza dei soccorsi» aggiunge «ci sono anche stati dei problemi con un ponteggio che non arrivava all’altezza alla quale si trovavano i ragazzi. I soccorritori sono saliti arrampicandosi sulla griglia di protezione, all’esterno della scala, hanno tentato le procedure di primo soccorso sul posto, e poi hanno imbracato Pierpaolo e i suoi colleghi, per farli scendere». Una procedura simile a quella che si vede nei soccorsi alpini.
«C’è anche un episodio del quale attendo ancora le conferme. A quanto pare un rivelatore aveva avvertito della presenza dei gas. I ragazzi sarebbero scesi a parlare con un responsabile del problema, e da un racconto che mi è stato fatto il responsabile gli avrebbe detto di non preoccuparsi e procedere comunque. Non so chi sia questa persona, ed è tutto da accertare. Ne sapremo di più quando potremo accedere a verbali e relazioni».

Quattro anni dopo il rogo di Torino alle acciaierie della ThyssenKrupp, l’amministratore delegato è stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, una sentenza storica. Per gli operai Saras, vittime dell’incidente del 2009, il PM Emanuele Secci ha chiesto condanne fino a 4 anni di reclusione, oltre al conferimento di una multa di 800 mila euro. I familiari dei tre operai morti nell’incidente non si sono costituiti parte civile, avendo raggiunto un accordo con la Saras. Per lei e i suoi familiari, cosa sarà “giustizia”?
«Non è un giudizio che posso darvi – dice il signor Pulvirenti – Il caso è diverso, a quanto ne so c’è una parte di corresponsabilità degli operai in quanto successo nel 2009, e le pene forse sono così basse per via del rito abbreviato. Direi che quanto richiesto è “pochissimo”, ma questo mio giudizio è dettato dal coinvolgimento, dai sentimenti che provo adesso». «Chi è responsabile deve subire le conseguenze delle sue azioni», aggiunge Milena Basile. «Ad un eventuale accordo esterno, non ci abbiamo pensato e non ci vogliamo pensare. Quantificare quanto vale la vita di una persona mi sembra fuori da ogni logica. Ora bisogna solo attendere l’evoluzione delle indagini».

«Abbiamo ritenuto che mantenere rapporti civili non precluderà la giusta valutazione delle responsabilità», aggiunge Salvatore Pulvirenti. «La famiglia Moratti si è comportata in maniera esemplare, mettendoci a disposizione un aereo per andare e tornare dalla Sardegna con il corpo di Pierpaolo e facendosi anche carico delle spese di vitto e alloggio. Ci hanno anche chiesto se potevano presenziare al funerale, e dopo averci pensato abbiamo risposto di “sì”, a condizione che non ci fossero stuoli di giornalisti, che come promesso non ci sono stati. Al funerale è quindi venuto in maniera molto discreta il presidente Massimo Moratti con il figlio e il nipote». Anche la Fiom-CGIL ha mantenuto rapporti garbati con la famiglia di Pierpaolo «al processo la Fiom si costituirà parte civile, e ci ha in qualche modo chiesto il “permesso” prima di annunciarlo, una delicatezza che abbiamo apprezzato».

Infine vorrei chiedervi cosa vi ha spinti a rispondere alle mie domande, perché immagino quanto sia difficile esporsi e parlare in questo momento.
«Siete un giornale letto da ragazzi, con cognizione di quel che si fa per poter “vivere” in un periodo difficile, magari anche mestieri completamente diversi da quelli a cui ti porta il corso di studi. Il messaggio attraverso voi può arrivare. Abbiamo rifiutato decine di interviste con altri», mi dice la mamma di Pierpaolo. «Di sicurezza si parla tanto, ci sono tanti numeri carte leggi documenti, ma della sicurezza reale, con esercitazioni e cognizione vera del rischio, se ne fanno pochissime. Giorno 11 ci sarà una fiaccolata in suo ricordo, che partirà alle 21 e 30 da piazza Stesicoro. Vogliamo che sia una cosa “fatta bene”». «Perché vorremmo che passasse il messaggio della sicurezza», conclude il papà di Pierpaolo. «Se vado in fabbrica o rifaccio la facciata di un palazzo, non posso salutarmi la mattina con la famiglia e mettere in conto che non tornerò. Non vanno a fare i militari, non vanno in guerra. Il rischio di morire non può essere compreso nel lavoro».

Leandro Perrotta

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