La grande industria italiana? Ormai siamo ai saldi di fine stagione

TELECOM AGLI SPAGNOLI. ALITALIA AI FRANCESI. L’ILVA DI TARANTO AMMAZZA LA GENTE. LE TARIFFE AI AUTOSTRADE ITALIANE SONO LE PIU’ CARE DEL MONDO. A QUANDO LA SVENDITA DI ENI, ENEL E FINMECCANICA?

I teorici delle privatizzazioni sono serviti. Le principali aziende pubbliche italiane che erano riuscite durante la cosiddetta Prima Repubblica a portare l’Italia, da Paese distrutto dalla guerra a quinta potenza economico-industriale del mondo, sotto la spinta di un dibattito artificioso, sonostate privatizzate. E’ dagli anni Novanta che l’Italia arretra sul terreno delle innovazioni tecnologiche in coincidenza con la privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, la cui gestione magari rappresentava la degenerazione politica del sottogoverno del pentapartito, però erano di sicuro all’avanguardi nell’innovazione tecnologica e, in qualche misura, protagoniste del Made in Italy.

A pochi anni dalla loro privatizzazione assistiamo al sostanziale fallimento di Alitalia, di Telecom; alla sopravvivenza di Autostrade per l’Italia mediante l’adozione di tariffe stratosferiche. per non parlare dell’Ilva di Taranto che lucra sulla salute di migliaia di cittadini del quartiere Tamburi di Taranto a fronte del costo di poco più di un migliaio di salari.

A beneficiare del fallimento dell’imprenditoria italiana sono le imprese francesi e spagnole, anche mediante le loro presenze nel sistema bancario nazionale. Per dirla tutta, va anche evidenziato che le imprese francesi stanno acquisendo il controllo anche di aziende private che rappresentano alcune eccellenze nazionali nel campo della moda.

Le grandi aziende che abbiamo menzionato rappresentano il paradigma del fallimento delle privatizzazioni. L’Alitalia quando era gestita dalla mano pubblica costituiva fonte di sprechi ed assorbiva cospicui apporti finanziari pubblici per ripianare le perdite di esercizio, ma la sua privatizzazione è costata all’erario, oltre ai 300 milioni di euro di prestito mai restituito, anche tutto il costo della liquidazione della stessa Alitalia prima versione, nonché un sistema di Cassa integrazione del personale in esubero senza precedenti nella memoria del nostro Paese. Il tutto nato dall’idea di un altro imprenditore padano che, a suo dire, ha grandi capacità e che si è fatto da sé. Sic!

A beneficio di chi non l’avesse capito, il riferimento è a Silvio Berlusconi. Questa montagna di soldi è stata spesa perché questo signore, in nome della italianità della compagnia di bandiera, aveva impedito che il Governo di Romano Prodi cedesse ad Air France l’Alitalia a gestione pubblica a condizioni vantaggiose, in quanto la compagnia francese si accollava pure l’esposizione debitoria dell’azienda italiana.

Il pool di privati che è subentrato nella nuova Alitalia, in nome dell’italianità della compagnia di bandiera, nonostante le garanzie sul sostanziale monopolio della tratta più ricca dei traffici aerei nazionali, la Roma-Milano e ritorno, non è riuscito a mantenere nemmeno in pareggio la gestione del bilancio aziendale. Adesso il nostro Paese si ritrova a trattare la cessione di Alitalia ai francesi, ma a condizioni che nulla hanno a che vedere con quelle negoziate a suo tempo dal governo Prodi. E dire che si tratta del fior fiore della cosiddetta imprenditoria padana, Colaninno in testa.

Colaninno, da parte sua, non è nuovo a queste imprese fallimentari. Il suo nome e la sua ‘imprenditorialità’ abbiamo avuto il ‘privilegio’ di ammirarli sia al tempo del rilevamento dell’azienda Rodriguez di Messina, per intenderci quella degli aliscafi, sia nella privatizzazione di Telecom. Infatti, al duo Colaninno-Gnutti venne affidata l’azienda delle telecomunicazioni privatizzata. A questo proposito sono da ricordare le dichiarazioni dell’onorevole Massimo D’Alema, che a proposito di questa privatizzazione si vantava di avere operato secondo le regole di mercato. Ed, in effetti, un’operazione di mercato (finanziario) fu quella di Colaninno, il quale immediatamente cedette Telecom, a suon di miliardi contanti, a Tronchetti Provera che a sua volta la oberò di una montagna di debiti che ne condizionano ancora oggi l’esistenza.

Infatti, Tronchetti Provera per rilevare Telecom non investì denaro suo, ma fece ricorso a prestiti bancari accesi in capo alla Telecom, per il fatto che le banche si fidavano più della consistenza della società telefonica che di Tronchetti Provera. Con questa operazione l’amministratore di Pirelli caricò di debiti l’azienda di milioni di azionisti piccoli risparmiatori che costituivano l’azionariato diffuso creato dall’allora ministro Carlo Azeglio Ciampi per realizzare la pubblic company che aveva ideato per la privatizzazione di Telecom Italia. Infatti non era possibile sottoscrivere più di 10 milioni di lire da parte di ogni singolo risparmiatore.

A causa dell’enorme debito gravato sull’azienda e della gestione approssimativa di Tronchetti Provera, Telecom stentava a produrre dividendi. Il nuovo amministratore ‘privato’ allora sperimentò un metodo ‘privatistico’ di realizzare dividendi, vendendo tutte le gestioni estere, da quella serba a quella brasiliana con i cui proventi realizzava gli utili d’esercizio da dividere fra gli azionisti, a discapito del patrimonio Telecom.

Un altro esempio di privatizzazione ‘lodevole’ è quello della Italsider, oggi Ilva. Il colosso pubblico dell’acciaio è andato ai Riva. Costoro, che si son ben guardati dall’operare investimenti a salvaguardia della salute di chi vive nelle adiacenze del mega impianto di Taranto e degli stessi lavoratori che vi operano all’interno ed ha provocato quasi un disastro ambientale e sanitario, tanto che costringere la Magistratura ad intervenire e porre così all’attenzione pubblica la grave situazione provocata dalla trascuratezza delle condizioni produttive all’ambiente ed alle persone.fisiche residenti nelle sue adiacenze.

Se si pensa che ancora adesso c’è chi sostiene che l’unica soluzione per abbattere il debito pubblico è quella di alienare il patrimonio pubblico, compresa la dismissione di Eni, Enel e Finmeccanica o non ha capito niente della vita o è decisamente al servizio di speculatori e delinquenti.

Riccardo Gueci

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