Si avvicina il 23 maggio, giorno della strage di Capaci. Il 25esimo anniversario verrà ricordato in città con una serie di iniziative, tra cui una lunga diretta Rai. Eppure a volte la memoria si nutre di piccole cose, di simboli che, seppur minuscoli, si ergono a giganti nel significato. I simboli, si sa, sono tali perché si distinguono – nel bene o nel male – da ciò che li circonda. A volte però subiscono un destino beffardo, quello dell’oblìo, e dimenticare porta spesso a non notarne l’abuso. E’ il caso della garitta di via Notarbartolo, la piccola struttura metallica davanti alla casa dei coniugi magistrati Falcone-Morvillo, che ormai sembra quasi un corpo estraneo alla strada.
Al contrario del suo illustre compagno di marciapiede, il ficus che da 25 anni ospita messaggi d’amore, di vita e di speranza lasciati da tante mani diverse, la garitta si erge arrugginita, impolverata, abbandonata e coperta da vario materiale pubblicitario, al pari di un palo dell’illuminazione o di un armadio di servizio per telefonia o elettricità. Eppure il fatto che la struttura non sia stata rimossa – a circa 30 anni dalla sua collocazione e a cinque lustri dal suo pensionamento – non è il frutto del solito immobilismo parolaio che spesso caratterizza le istituzioni nel noto gioco dello scaricabarile di responsabilità.
La garitta venne lasciata al suo posto di proposito, come simbolo della vita controllata 24 ore su 24 alla quale erano costretti moglie e marito servitori dello Stato, della volontaria riduzione della libertà individuale per la difesa di quella collettiva, e probabilmente anche come monito del fallimento nel riuscire a proteggerli fino alla fine. Ma soprattutto, osservando la guardiola, bisognerebbe andare con la mente agli altri appartenenti alle istituzioni che – con pari dignità dei magistrati – ogni giorno si dedicavano alla difesa di tutti i cittadini, cioè gli agenti della scorta e i militari di guardia.
Qualche anno fa era emersa la proposta di tutelare la garitta al pari dell’albero, designato dalla Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali di Palermo quale bene culturale, ma non se ne è fatto nulla. Però da qui a tollerare che un simbolo così venga lasciato nel degrado fisico e morale il passo è lungo: il risultato è una quotidiana offesa alla memoria di tutti coloro i quali hanno fatto il loro dovere fino in fondo, oltre che al senso civico.
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