La Galleria delle Vittorie di Palermo tra degrado e rinascita

MOLTO LONTANA DALLE GALLERIE DI TORINO, MILANO, GENOVA,  ANDREBBE RIPENSATA RADICALMENTE

di Agostino Marrella

 

La Galleria delle Vittorie di Palermo – costruita fra il 1933 e il 1937 dall’impresa Bonci-Rutelli (la stessa che costruì il cine-teatro “Finocchiaro”) è parte integrante del “risanamento” del medievale (residuale) rione della Conceria. Tale “risanamento”, compiuto fra il 1929 e il 1932, portò a termine due precedenti “sventramenti” (1887-1889 e 1903-1908) e si risolse nell’area oggi compresa tra le vie Bandiera, Maqueda, Venezia e Piazza Vittorio Bòttego che venne in massima parte occupata da edifici opinabilissimi sotto il profilo estetico, ma senza dubbio “sconcertanti” dal punto di vista volumetrico.

Nel corso di tale intervento di “riqualificazione urbana” fu pure delittuosamente rasa al suolo la seicentesca (1643) chiesa di Santa Maria della Volta, costruita sulla depressione della Conceria e collegata a Via Maqueda (sorgeva in prossimità dell’attuale incrocio di tale strada con Via Napoli) da una scalinata di ventitré gradini, cosicché era popolarmente nota come ‘a Maronna di vintitrì scaluna. “Coerentemente” alle finalità spiccatamente speculative dell’intervento “risanatorio” in questione, la stessa Galleria delle Vittorie – inaugurata il 9 Maggio 1937 – è parte di un ipercondominio di 6 piani e 53 appartamenti, in prossimità del quale (sotto Via Bari) scorre, incanalato, lo storico Torrente Papireto (detto, in questo tratto, Fiume della Conceria) che, secondo un’ispezione condotta nel 2009, ne costituisce motivo di preoccupazione per le fondamenta.

Per quanto ne sia l’elemento caratterizzante, anche la Galleria delle Vittorie non emerge dal giudizio di complessiva mediocrità di tutta l’area su cui insiste. Opera retorica e sgraziata, non solo non è minima-mente accostabile alle gallerie di Milano, Torino, Genova, Napoli e Messina, ma è pure una mal riuscita sintesi di “neoclassicismo semplificato” (architettura fascista) e Art Decò.

La galleria è addobbata da tempere, alquanto deteriorate, del futurista – più decoratore che pittore – Alfonso Amorelli (1898–1969), di chiara impronta fascista e razzistica; esse, infatti, oltre che la “vittoria” della I Guerra Mondiale, celebrano la “superiorità” dei bianchi italiani sugli appena “assoggettati” etiopi (1936). La copertura in vetri policromi realizzata dall’artigiano-artista Paolo Bevilacqua è ormai intera-mente perduta. In gran parte integra è, invece, l’originaria pavimentazione, “arricchita” da regolari se-quenze di fasci littori su cui è possibile leggere la data di fine-lavori: 2 Ottobre XV E.F.

La Galleria delle Vittorie è stata definitivamente “abbandonata” nei primi anni ’80 dello scorso secolo, ma essa – a causa degli scadenti materiali utilizzati per la sua realizzazione – cominciò a dare segni di decadimento sin dagli anni ’60: distacchi di paramenti murari e cedimento di talune parti di copertura.

Considerata la scarsa pregevolezza del manufatto, personalmente vedrei assai negativamente un suo, oneroso, restauro filologico, apparendomi più opportuno limitarsi ad un sobrio intervento di messa in sicurezza e conservativo.

Quanto, in ultimo, al pubblico riutilizzo della Galleria delle Vittorie (la proprietà è, però, come ho accennato sopra, privata) non credo che si possa essere, in via di principio, contrari. Ma, ciò avrebbe un senso solo se esso fosse pensato/attuato come qualcosa di molto diverso dal miserrimo “suk” che era alla fine degli anni ’70 e che, di certo, non fa parte dei migliori ricordi di chi (per ragioni – ahimè! – anagrafiche) può averne memoria.

Redazione

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