Quando la Fiat ha deciso di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese non sono mancate le proteste. Alla fine la linea di Sergio Marchionne è passata e la casa automobilistica torinese ha lasciato la Sicilia. A parte le promesse e le chiacchiere, non è successo niente. Lo stesso intervento dello Stato e della Regione siciliana sono culminati in un nulla di fatto. Ora la Fiat alza il tiro. E, come spiega oggi Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom-Cgil, in un’interista rilasciata al quotidiano Affaritaliani.ot, la Fiat vuole lasciare l’Italia. (a sinistra, Maurizio Landini, foto tratta da 24emilia.com)
“La Fiat ha in mente di andarsene dal nostro Paese – dice Landini -. Il problema è ben più grave dell’ipotesi della chiusura di uno stabilimento. Allo stato attuale vuole non investire in Italia e questo comporta il rischio che l’intero settore auto salti. Il problema è impedire che ciò avvenga”.
Nulla da dire su Landini: anzi, è uno dei migliori sindacalisti del nostro Paese. Giustissimo raccogliere il suo appello: “Il Governo italiano -sottolinea il segretario nazionale della Fiom Cgil – dovrebbe fare quello che fanno i governi dove ci sono problemi di questa natura, ovvero quello che ha fatto Obama, quello che hanno fatto in Germania e in Francia. E cioè chiedere alle imprese di fare investimenti e prevedere anche una politica industriale, compreso l’intervento pubblico che salvaguardi le attività produttive del nostro Paese, a partire dalla produzione di auto che resta strategica”.
Tutto giusto. Una sola domanda: perché lo stesso discorso non è stato fatto quando la Fiat ha deciso di chiudere Termini Imerese? Forse qualcuno pensava che, sbaraccando lo stabilimento siciliano, gli altri siti produttivi italiani si sarebbero salvati? Avere consentito alla Fiat di abbandonare la Sicilia senza colpo ferire non è stato un errore strategico della politica e dei sindacati?
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