Mancano dieci giorni all’inizio della festa nazionale del Pd a Catania. Eppure del programma ufficiale poco o niente si sa. L’unica certezza è il tema attorno a cui tutto ruoterà: L’Italia che dice sì. Sottinteso: al referendum costituzionale di ottobre. La sfida a cui Renzi ha subordinato il suo futuro da presidente del Consiglio. Al punto da farne il centro dell’evento che porterà alla villa Bellini di Catania i vertici del partito dal 28 agosto all’11 settembre. «Peccato che non c’è stato nessun confronto, né tra Roma e Palermo, né all’interno della direzione nazionale. È una scelta verticistica e un modo di procedere che non aiuta a tenere unito il partito». A parlare è Pino Apprendi, 67 anni, ex deputato regionale del Pd, attualmente membro della direzione provinciale di Palermo e membro dell’assemblea nazionale. Un periodo complicato per chi, come lui, all’interno del partito prova a prendere le distanze dalla posizione maggioritaria. «Io al referendum voterò no – spiega -, dicono che sui dissidenti pende il rischio espulsione, io fino a quando non mi cacciano non me ne vado, il Pd è anche il mio partito».
Perché non è d’accordo con la scelta di incentrare la festa dell’Unità sul referendum?
«È un tema su cui molti, all’interno del partito, non la pensano come Renzi. Ma non c’è spazio nel dibattito interno, non c’è stato diritto di cittadinanza per chi vuole votare no o per chi è incerto. È un modo di fare che alza muri, allontana i simpatizzanti più scettici e lascia fuori chi già se n’è andato. E non mi preoccupa tanto il dirigente che va via annunciandolo con un comunicato, ma i tanti cittadini che lo fanno senza conferenza stampa».
Lei dice che dentro il Pd molti non voteranno Sì. Eppure pochi si espongono, perché?
«Perché c’è chi vuole restare vicino ai cerchi magici e c’è chi aspetta una candidatura».
Perché voterà no al referendum?
«Perché non credo che i cambiamenti alla Costituzione previsti possano cambiare in meglio il futuro dell’Italia. La vicenda del Senato mi sembra un bluff: se si voleva risparmiare, si potevano dimezzare sia i deputati della Camera che i senatori. Invece è un grande pasticcio, con i deputati regionali in Senato che faranno un lavoro part time. Così i consigli regionali saranno smembrati e i costi non scenderanno».
Cosa pensa della decisione di svolgere la festa nazionale del Pd a Catania?
«Sono contento dell’attenzione che è stata data alla Sicilia, ma la gioia è stata presto offuscata dall’impostazione».
I vertici del Pd avevano valutato anche Pozzallo come sede, ma alla fine hanno scartato questa ipotesi. E il sindaco c’è rimasto male. Poteva essere una scelta simbolica per sollevare l’attenzione su un territorio che affronta, spesso da solo, il fenomeno migratorio?
«Questo non credo. Tutta la Sicilia, e non solo Pozzallo, rappresenta una scelta simbolica».
Però il tema centrale della festa non è l’immigrazione. Secondo lei quale sarebbe stato l’argomento più adatto?
«Lo sviluppo del paese, le opportunità per i giovani, l’emigrazione, ma soprattutto la vivibilità delle città, considerate le enormi difficoltà dei sindaci».
Quanto ha pesato la presenza del sindaco Bianco nella scelta di Catania?
«Molto, senza dubbio. È una scelta politica, sembra un’investitura per la candidatura alla presidenza della Regione alla prossime elezioni. Anche se credo che il Pd avrà altre candidature da offrire».
Com’è cambiata negli anni la festa dell’Unità?
«Ho organizzato diverse feste dell’Unità a Palermo e posso dire che è cambiato tutto. I temi una volta erano approvati a vari livelli del partito, l’anno scorso invece gli argomenti di cui si è parlato alla festa regionale non sono stati neanche discussi in direzione. E poi, certamente è cambiato il pubblico».
Chi si aspetta di trovare alla festa di quest’anno?
«È chiaro che c’è una frequentazione diversa, ci saranno i berlusconiani e quelli dell’Udc. Il punto è che ormai ci si avvicina al Pd per avvicinarsi a un sistema di potere sperando di ricavarne qualcosa, non a un’idea. Non è una cosa nuova, il trasformismo è sempre esistito, solo che adesso si è riversato tutto sul Partito democratico, e questo è preoccupante».
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