La farsa del Ponte sullo Stretto di Messina

In queste ultime settimane abbiamo registrato tre notizie che riguardano il Ponte sullo Stretto di Messina: due, negli ultimi giorni, strombazzate dai mezzi di informazione, la terza, un po’ meno recente, nascosta tra le pieghe della cosiddetta ‘legge Salva Italia’. Nelle prime due si parla, in termini ipotetici, della costruzione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria (l’ultima notizia sarebbe di ieri: i cinesi vorrebbero finanziare l’opera: ma è storia vecchia: i cinesi vorrebbero finanziare anche l’aeroporto nell’Ennese, eccetera eccetera). La terza notizia è concreta: sono pronti i soldi – decine di milioni di euro – per pagare la penale a chi non ha potute realizzare il Ponte!

L’aspetto tragico è che non ci accorgiamo della farsa che, dal 2001 ad oggi, va in scena nel nostro Paese a proposito del Ponte sullo Stretto di Messina. Riassumiamola.

La società Ponte sullo Stretto di Messina esiste da decenni. Fu un’invenzione democristiana voluta dai massoni messinesi. Una società messa lì a ‘studiare’ come, un giorno (ma quando?), la maestosa opera dovrebbe vedere la luce. Niente di concreto. Solo ‘carte’ e tante chiacchiere.

Una fiammata – ma solo una fiammata – di blanda concretezza arriva alla fine degli anni ’80 del secolo passato, quando l’Iri di Franco Nobili – allora ‘feudo’ politico democristiano (di Andreotti, per la precisione) – decide di pigiare sull’acceleratore. “Siamo pronti per iniziare gli studi di fattibilità per il Ponte sullo Stretto di Messina”, dicono in quegli anni all’Iri.

Immediata la reazione dell’Eni, retto allora dai socialisti di Bettino Craxi. E’ il presidente dell’Eni dell’epoca, Gabriele Cagliari, che si catapulta in Sicilia per presentare il progetto alternativo al Ponte di Messina: tre tunnel sottomarini: uno per i treni e due per le automobili. Un modo elegante per ‘stoppare’ l’avvio degli studi di fattibilità sul Ponte. Operazione che riesce perfettamente.

Negli anni ’90 a nessuno viene in mente di sbaraccare la società Ponte sullo Stretto di Messina. Anzi, dal 1994 in poi, arriva un uomo politico che decide di sfruttare al meglio le suggestioni che quest’opera ha sempre provocato nell’immaginario degl’italiani: Silvio Berlusconi.

Alla fine degli anni ’90 il Cavaliere capisce che l’idea del Ponte è un ottimo spot elettorale: non per realizzare lo stesso Ponte, ma per ‘sfruttare il ‘sogno’ in termini mediatici ed elettorali.

Detto e fatto. Nel 2001 ci sono le elezioni politiche. Il Cavaliere ha già pronto il ‘Contratto con gli italiani’. E, nel ‘mazzo’, ci infila anche il Ponte sullo Stretto di Messina.

Sono sempre le solite chiacchiere. Presentate bene, però. Ufficialmente, il Ponte dovrebbe servire, in primo luogo, a rilanciare l’economia del Sud Italia. In pratica, come vedremo, servirà soltanto a far guadagnare un bel po’ di quattrini a gruppi economici e imprenditoriali che con il Mezzogiorno – e segnatamente con la Sicilia e la Calabria – non hanno nulla a che spartire.

Tra il 2001 e il 2006 Berlusconi, sul Ponte, farà solo promesse e chiacchiere. Provvedendo a suscitare un dibattito su chi è favorevole e chi è contrario alla grande opera. Italia divisa in due. I favorevoli – il 50 per cento – sono tutti con il Cavaliere che ha, sì è no, un Partito del 20 per cento. Mossa politica e mediatica geniale.

Nel 2006 Berlusconi perde le elezioni. Torna Prodi. Finirà la sceneggiata sul Ponte di Messina? Niente affatto.

Il Ministro Antonio Di Pietro arriva a Palermo e spiega che il Governo Prodi è contro il progetto per la realizzazione del Ponte. Ma non sbaracca la società Ponte sullo Stretto di Messina.

Nel 2008 torna Berlusconi al Governo. Nel frattempo c’è già il General contractor. Che dovrebbe iniziare i rilievi tra Scilla e Cariddi per “avviare la realizzazione dell’opera”. Una sceneggiata. Altre polemiche inutili. Altre futilità.

E’ una recita, come già accennato. Organizzata bene: ma sempre una recita. Con il solito Berlusconi regista mediatico. 

Dal 2001 ad oggi, tra la Sicilia e la Calabria, a parte le chiacchiere, non è successo praticamente nulla. Il Ponte era un’idea, e un’idea è rimasta. Persino Giampiero D’Alia, parlamentare nazionale e leader dell’Udc siciliana, messinese ‘Doc’, come ha scritto qualche settimana fa il Corriere della Sera, ha cambiato opinione. Da fiero sostenitore dell’opera è diventato altrettanto fiero oppositore del Ponte. Ha acquistato una bella villa affacciata sullo Stretto e non vorrebbe rovinato lo spettacolo…

Nel frattempo è arrivato Mario Monti. Siamo giunti ai giorni nostri. Il Professore, titolare del ‘Governo delle Banche’, deve risanare i conti del nostro Paese. Tasse per tutti, per i belli e per i brutti. Ma, guarda caso, non tocca la società Ponte sullo Stretto di Messina? Forse perché è una società che produce utili? Ma quando mai: ci sono solo perdite. E allora?

La spiegazione è nella legge ‘Salva Italia’. Dove il Governo Monti ha previsto una barca di soldi – decine e decine di milioni di euro – per ‘risarcire’ le società del Nord Italia che da anni lavorano al progetto per il Ponte e che non hanno potuto realizzare l’opera per motivi di forza maggiore”.

Ma come: l’Italia è allo stremo, le famiglie non arrivano alla fine del mese, non ci sono i soldi per pagare l’Imu, lo stesso Governo Monti, protagonista del nuovo balzello sulla casa, ha programmato una dilazione di tre mesi per il pagamento dell’Imu, e però si trovano i soldi – decine e decine di milioni – per ‘risarcire’ le imprese del Nord che si sono’disturbate’ a lavorare all’idea del Ponte sullo Stretto di Messina?

Ecco perché Monti non scioglie la società Ponte sullo Stretto di Messina: per giustificare l’esborso milionario in favore delle imprese del Nord Italia.

Ve l’immaginate la scena: la società Ponte sullo Stretto di Messina non c’è più,  stata sciolta, il Ponte non c’è mai stato, in compenso si paga una barca di soldi a chi avrebbe dovuto realizzare l’opera… Pensate che polemiche!

Invece se la società Ponte sullo Stretto è ancora in piedi – e infatti è ancora in piedi – si può sempre dire: ma, la società c’è, i lavori ‘preliminari’ sono stati fatti, paghiamo le imprese – del Nord, ovviamente – per il disturbo… Una sceneggiata cominciata da Berlusconi e completata dal Governo Monti.

Morale: il Ponte tra la Sicilia e la Calabria non c’è, in compenso qualcuno ci sta guadagnando una barca di soldi. Qualcun che non ha nulla a che spartire con il Sud d’Italia.

Complimenti a Berlusconi. E a Monti.

Certo però è brutto pagare un sacco di soldi per un’opera del Sud (che non c’è) a imprese del Nord (che ci sono). E allora? E allora bisogna tenere in caldo la ‘cosa’. Come? Non sono i cinesi quelli pieni di soldi che vorrebbero realizzare tutto? L’aeroporto nel centro della Sicilia, il Ponte sullo Stretto di Messina…

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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