La dura (ma intensa) vita del divoratore di libri

È “Firmino” il romanzo rivelazione dell’estate 2008. Sam Savage, classe ’40, si è avventurato alla tenera età di 65 anni nel fantastico mondo letterario, alla stregua del più famoso antecedente Daniel Defoe. In realtà, di letteratura il suo bagaglio culturale è pieno zeppo, come dimostrano le numerose, spesso implicite, citazioni e allusioni alla produzione letteraria internazionale disseminate nel testo. Ma soltanto nel 2006 Savage ha dato il suo lavoro alle stampe di una piccola casa editrice americana no profit, fuori dal circuito della grande editoria e con tiratura di appena mille copie. È diventato un caso internazionale a seguito dell’ultima Fiera di Francoforte, dopo aver vinto tutti i più importanti premi letterari per esordienti negli Stati Uniti.
 
Dopo Rémy e il suo Ratatouille (film d’animazione, USA 2007), l’Italia fa la conoscenza di un suo “collega”. Firmino, il minore di una nidiata di 13 topi, è il nome che l’autore sceglie per il protagonista del suo romanzo. Una storpiatura da fur man, ovvero uomo pelliccia. Perché Firmino conduce la vita da topo, ma con una grande anima degna di un essere umano. È un topolino che per fatalità si pasce di libri… in senso metaforico e non. Firmino nasce infatti dentro la libreria Penbrooke Books e a lungo, per motivi di selezione naturale (il suo corpo gracile lo escludeva dalle grandi cibate dei fratelli più corpulenti che si accaparravano sistematicamente le mammelle della mamma), non si sfama di nient’altro che del Grande Libro. Inizia come alimento per il corpo, si evolve come cibo per l’anima. Il più prezioso che egli possa immaginare e che sostenterà la sua triste, breve vita. Nutrimento per l’anima e benzina dei sogni: in un mondo che è tutto un si salvi chi può, egli riesce a sopravvivere alimentandosi di storie, trame, personaggi e fantasie grazie alla lettura.
 
La storia è ambientata nella Scollay Square della Boston del Secondo Dopo Guerra. Scorrono fluide le 179 pagine del racconto della vita di questo roditore: insoddisfatto della sua natura animalesca; sofferente di fronte all’incapacità di poter comunicare con gli uomini, che ama e con cui condivide ogni giornata; impaziente di gridare al mondo intero il suo talento, la sua preparazione e cultura satura di libri di ogni genere, dopo aver passato in rassegna quasi tutti i volumi della libreria che gli ha fatto da prima residenza.
 
Ma Firmino non è solo questo. Lo scrittore del South Carolina, un ex professore di filosofia, poi meccanico di biciclette, carpentiere e pescatore, ha costruito un personaggio a tutto tondo. Nella notifica di sfratto di questo topolino si legge: “Il Ratto Firmino, abusivo, girovago, parassita, saccente, guardone, roditore di libri, sognatore ridicolo, mentitore, parolaio e pervertito, con il presente documento è sfrattato da questo pianeta” – consegnatagli da Ginger Rogers in persona.
È un animaletto piccolo e insignificante nell’aspetto, anche orrendo se si vuole, ma valente, dotato del dono della sinestesia, grazie alla capacità di associare ad ogni immagine, personaggio o situazione un appellativo per classificarlo nella ricca enciclopedia della sua mente. Più volte al capolinea delle illusioni, eppure sempre imperterrito e inguaribile sognatore. Insomma, un Genio cinico, malinconico.
 
A suo stesso dire nell’incipit, “Firmino” racconta “la storia più triste che abbia mai sentito…” in un’interagire costante dello scrittore coi suoi lettori e le loro attese reazioni. Il risultato è un magico racconto dickensiano nero, sarcastico e malinconico sul potere di redenzione della letteratura. L’ultimo paradiso in cui rifugiarsi ogni qualvolta si senta il bisogno di scappare dalla quotidianità.  

Benedetta Motta

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