FANNO’CARTELLO’ E IMPONGONO PREZZI IRRISORI. LA ‘LATITANZA’ DELLA REGIONE SICILIANA CHE IN TANTI ANNI NON HA SAPUTO O VOLUTO AIUTARE I PRODUTTORI AGRICOLI DELLA NOSTRA ISOLA
Il melone giallo dovrebbe essere una grande risorsa per l’agricoltura siciliana. Clima ottimo, terreni giusti, prodotto di elevata qualità. Ma questo non basta. I produttori di melone giallo della nostra Isola sono disorganizzati. La struttura pubblica che dovrebbe dare una mano a tali imprese – cioè la Regione – è ‘latitante’. Il risultato è che il comparto è finito nelle mani degli speculatori che strozzano questi piccoli agricoltori. Un disastro economico e sociale.
A denunciare quanto sta accedendo è il presidente della Coldiretti siciliana, Alessandro Chiarelli:
“I produttori siciliani di melone giallo sono messi alla corda da un cartello di commercianti napoletani che li strozza. Non è una novità. Ma quest’anno stanno veramente esagerando. Come si può imporre ai produttori un prezzo pari a 0,25 euro di euro al chilogrammo – stamattina, addirittura, 0,20 euro! – sapendo che vendendo sotto 0,30 centesimi di euro chi produce meloni gialli va in perdita?”.
Non è una novità, dice Chiarelli. Non è una novità che i commercianti napoletani, sfruttando lo sfascio di un’Amministrazione pubblica che in Sicilia considera l’agricoltura un’occasione per fare arricchire i pochi, speculi su chi non si può difendere.
La realtà è quella che è. Il melone giallo, in Sicilia, si coltiva nel Trapanese, nell’Agrigentino nel Palermitano e in alcune aree della provincia Iblea.
Una coltura da rinnovo che entra nelle rotazioni agricole con il grano e le leguminose (in genere sulla o fava). Si stima che, nella nostra Isola, ogni anno, gli ettari interessati da melone giallo superino i 5 mila ettari.
Il problema – la ‘strettoia’, chiamiamola così – sta nella commercializzazione. Il mercato interno della Sicilia assorbe, sì e no, il 5-7, in certe annate anche il 10 per cento della produzione. Il grosso dei meloni gialli della nostra Isola lo acquistano i commercianti napoletani, che lo esportano nelle altre regioni del nostro Paese.
La ‘catena’ è la seguente. I commercianti napoletani acquistano intere partite di melone bianco a “bocca di campo”, cioè direttamente dai produttori.
Questi ultimi, oltre al costo della lavorazione del terreno, della semina, della concimazione, dell’irrigazione e di qualche altro eventuale intervento colturale, debbono sobbarcarsi anche il costo della raccolta del prodotto. E una riduzione del 4 per cento sul prezzo se il clima è particolarmente secco.
Quest’anno, come ci dice Chiarelli, i napoletani stanno esagerando. Negli anni passati tra gli stessi commercianti partenopei c’era un po’ di concorrenza. Bene o male, a 0,30 euro al chilogrammo ci si arrivava.
“Quest’anno – spiega sempre il presidente della Coldiretti siciliana – i commercianti napoletani hanno costituito un cartello. E, come già accennato, impongono un prezzo pari a 0,25 e, in molti casi, a 0,20. In queste condizioni ai produttori siciliani non conviene nemmeno raccogliere il prodotto”.
I napoletani rivendono i meloni gialli nei mercati nel Nord Italia a 0,55-0,60 euro al chilogrammo. Al dettaglio – sempre nel Nord Italia – il melone giallo siciliano viene venduto a un prezzo che oscilla tra 1,40 e 1,80 euro.
Insomma, chi ci rimane fregato è il produttore siciliano. La stesa cosa – lo ricordiamo – avviene con il pomodorino di Pachino, che viene pagato ai produttori della provincia di Siracusa a 0,40-0,50 euro al chilogrammo e rivenduto al dettaglio, nelle città del Centro Nord Italia, a un prezzo che varia da 5 a 8 euro al chilogrammo!
“Il problema è che i produttori siciliani non si possono difendere – aggiunge Chiarello -. Si salvano solo i produttori di melone giallo che matura precocemente. In questo caso il prezzo si mantiene accettabile. Nel periodo di Ferragosto, invece, vanno in maturazione le varietà ordinarie. L’offerta cresce. O la si vende ai napoletani, o non la si vende”.
Insomma, per i produttori di melone giallo della Sicilia o bere o affogare. “E non c’è nemmeno molto tempo. Un acquazzone di agosto rischia di pregiudicare la produzione”.
Per sfuggire ai commercianti che impongono i prezzi e all’eventuale inclemenza del tempo (che, peraltro, oggi è in parte prevedibile) servirebbero dei centri di stoccaggio e celle frigorifere.
Nel corso dei decenni i soldi pubblici non sono mai mancati. Già dagli anni ’70 del secolo scorso l’assessorato regionale all’Agricoltura era il più ricco.
Ma la politica siciliana – per lo più miope – non ha mai pensato a realizzare piattaforme, centri di stoccaggio, celle frigorifere e quant’altro.
Forse l’unico settore dell’agricoltura siciliana che è stato sostenuto è la viticoltura: negli anni ’60, ’70 e ’80 con le cantine sociali, nella seconda metà degli anni ’90 con la valorizzazione di alcune imprese vitivinicole private di pregio. Il resto dell’agricoltura siciliana – a parte casi isolati, frutto della fatica di singoli imprenditori – è il nulla e la desolazione.
Anche i Consorzi agrari – travolti dagli scandali degli anni ’80 e ’90 – sono alla frutta.
Il risultato di questa politica agraria senza politica agraria è sotto gli occhi di tutti: fatta eccezione per alcune aziende vinicole e per poche altre aziende che sono sopravvissute ‘nonostante la Regione siciliana’, lo scenario si sintetizza in una parola: disperazione.
La vicenda del meloni gialli alla mercè dei commercianti che impongono prezzi iniqui, alla fine, è il paradigma dell’agricoltura siciliana nell’anno di grazia 2014.
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