La Dea di Morgantina rivive virtualmente. Almeno per ora. La statua greca, tra le più celebri al mondo, è oggetto di uno studio da parte dell’Ibam (l’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Cnr), in collaborazione con il museo di Aidone: l’obiettivo è proprio quello di un restauro virtuale della scultura, cioè un ripristino iconografico digitale dell’aspetto originale della statua. A partire dalla parte che rimane integra dopo le peregrinazioni e i danni subiti, ma anche sulla base dei frammenti, circa un centinaio, che sono stati recuperati e conservati. «In sostanza – sottolinea Fabio Caruso, ricercatore della sede catanese dell’Ibam – facciamo vedere com’era la statua all’origine e come potrebbe essere con un vero restauro».
A condurre l’esperimento è il Laboratorio di archeologia immersiva e multimedia dell’Ibam. Oltre a Caruso, sono coinvolti Samuele Barone, Giovanni Fragalà, Danilo Pavone e Salvatore Russo. Con il determinante supporto della direttrice del museo di Aidone, Laura Maniscalco. La statua della Venere ha una storia travagliata: recuperata dai tombaroli negli anni ’50 proprio a Morgantina, fatta a pezzi per essere venduta clandestinamente, a lungo esposta al Paul Getty Museum di Los Angeles che l’acquistò nel 1986 per 18 milioni di dollari dalla società londinese Robing Symes, e solo dopo una lunga e problematica trattativa restituita all’Italia nel 2011. Le polemiche non si sono fermate neanche dopo il ritorno in patria. La scelta di ospitarla proprio ad Aidone, lì dove era stata trovata, è stata oggetto di critiche, per la difficoltà di raggiungere il sito. E in effetti il numero di visitatori, dal 2011 a oggi, si è dimezzato, anche perché è stato eliminato il biglietto unico, acquistabile in un primo momento per visitare il museo di Aidone, la villa del Casale di Piazza Armerina e l’area archeologica di Morgantina.
Adesso l’iniziativa del restauro virtuale potrebbe migliorare la visibilità dell’opera. Esperimento già realizzato sul tempio di Apollo di Siracusa e sull’anfiteatro romano di Catania. «Il progetto – spiega Samuele Barone, ricercatore dell’Ibam di Catania – prevede diversi step. La prima è l’acquisizione dei dati della scultura e dei frammenti, grazie al rilievo in tre D, con laser e scanner. A questo si aggiunge il materiale che acquisiremo tramite le foto. Altro obiettivo sarà ricostruire la policromia della statua, forse non tutti lo sanno ma la Venere in origine era colorata, come quasi tutte le sculture greche». Attraverso delle analisi chimico-fisiche, dunque, si andrà alla ricerca di elementi in grado di risalire alle originali tonalità. «Al di là dei grandi edifici – sottolinea Caruso – è un lavoro che abbiamo già fatto al museo Paolo Orsi di Siracusa sul cosiddetto Cratere di Canicattini, un vaso di epoca greca fortemente danneggiato». Alla fine si avrà una visione volumetrica completa dell’oggetto, anche nelle sue parti mancanti. In attesa che dal virtuale si passi un giorno al reale.
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