La cronista etnea che racconta la guerra in Yemen Laura Silvia Battaglia: «Le mie storie di resistenza»

Siciliana, milanese e yemenita. Laura Silvia Battaglia racconta di portarsi dentro «l’ostinazione, anche molesta» dei siciliani, «la disciplina del lavoro» dei milanesi, e «la pazienza» degli yemeniti. Ingredienti che ha riversato pienamente nel suo ultimo documentario: Yemen, nonostante la guerra. Il racconto non solo del conflitto che da tre anni dilania il Paese della penisola araba, ma soprattutto un viaggio dentro la resistenza di quel popolo, alla ricerca dei «semi di speranza» che singoli individui continuano a coltivare. 

C’è l’adolescente – «come una piccola regina di Saba» – iscritta all’accademia di musica che ha fatto del suo violino l’unico strumento di battaglia; c’è il maestro che insegna tra le macerie, «perché se i bambini non studiano, diventeranno carburante per una guerra che non li riguarda»; c’è il giornalista che, nonostante un sequestro e le torture subiti, continua a essere riferimento per tantissimi connazionali che a lui si rivolgono per avere giustizia, in assenza di uno Stato di diritto; c’è il regista e una troupe di giovani che è riuscita a produrre un film interamente realizzato in una città in guerra. 

La musica, l’educazione, l’arte, l’informazione, la cultura in generale sono sempre l’ultimo baluardo da cui ripartire di fronte alle barbarie. Una storia che si ripete a distanza di epoche e di continenti. «Vero, l’essere umano deve fare qualcosa, deve darsi una ragione per sopravvivere in guerra – riflette la giornalista catanese – le storie di resistenza che racconto appartengono a persone accomunate dalla fede nella capacità di reagire dell’essere umano». 

Il documentario inizia con una guida di eccezione, il fotografo Abdulrahman Al Ghabri, «memoria storica del Paese che ha conosciuto moltissimi artisti». E tra questi Pier Paolo Pasolini, che visitò e s’innamorò dello Yemen dove visse per un periodo, realizzando un documentario-appello rivolto all’Unesco per dichiarare la capitale Sana’a patrimonio mondiale. Cosa che effettivamente avvenne nel 1986. «Fin dalle mie prime visite in Yemen – racconta Battaglia – ho cercato qualcuno che avesse conosciuto Pasolini. Ma pochissimi se lo ricordavano e altri non volevano parlarne. Incontrare Abulrahaman che mi ha fatto da guida è stata una grande fortuna». 

La giornalista catanese, a differenza degli altri colleghi stranieri, ha potuto muoversi con una discreta libertà. Lei, sposata con un uomo yemenita, è riuscita a dribblare i paletti imposti ai cronisti embedded e a raccontare il Paese diviso dalla guerra civile: il Nord controllato dagli sciiti huthi (sostenuti dall’Iran) e a Sud le forze fedeli al re legittimo e alleato dei sauditi. «A Nord ho potuto muovermi senza pressioni, mentre a Sud sono entrata sempre da civile, senza l’attrezzatura che poi ho affittato sul posto, lavorando a fianco di colleghi locali. Ma in generale il fatto che ho sposato uno yemenita mi ha dato molti vantaggi: le persone non mi percepiscono come un elemento estraneo, ma come una a cui sta veramente a cuore il loro Paese. Certo, avere famiglia in Yemen so che, a maggior ragione dopo questo documentario, espone me e loro a rischi». 

Ai tanti complimenti di chi ha visto il documentario in Italia – è andato in onda la scorsa settimana su Rai 3 ed è visibile su RaiPlay – si sommano, con più soddisfazione, quelli dei pochi yemeniti che sono riusciti a vederlo. «Mi ringraziano perché finalmente vedono raccontato un popolo non sottomesso, non in attesa delle ong o di soluzioni da fuori, ma un popolo che si sbraccia e si dà da fare, convinto che la soluzione alla guerra può venire solo da dentro».

Eppure, seppur in Occidente arriva solo l’eco del conflitto, nelle vicende yemenite in tanti hanno messo il becco. A cominciare dalle due grandi potenze della regione: Arabia Saudita e Iran, che dopo essersi fronteggiati per procura in Siria, stanno facendo altrettanto in Yemen. «Il rischio più grande è proprio questo – spiega Battaglia – che l’escalation dei rapporti tra le due forze (arrivata al culmine dopo l’attacco rivendicato dai ribelli huthi a una delle più grandi centrali petrolifere saudite, ndr) trasformi lo Yemen in una nuova Siria. Perché l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti non possono permettersi di attaccare l’Iran, ma potrebbero ripetere in Yemen quanto fatto a Mosul e in Siria, prima coi bombardamenti e poi con truppe di terra».

Intanto per chi volesse conoscere meglio il Paese, in questi giorni a Palermo ci sarà la manifestazione Socotra in Sicilia. Socotra è una penisola dello Yemen dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità per la sua biodiversità naturale, la cui conservazione è oggi minacciata dalla militarizzazione. L’evento di Palermo, dal 27 settembre al 6 ottobre, mira a sensibilizzare sul tema e a conoscere meglio la cultura e la natura dello Yemen attraverso mostre fotografiche, proiezioni, tavole rotonde di discussione, gastronomia, artigianato e musica.

Salvo Catalano

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