La crisi in Iraq e in Ucraina fa schizzare il prezzo del petrolio

LE POTENZE MONDIALI CON IL FIATO SOSPESO. PAURE PER GLI INVESTIMENTI NEL PAESE MEDIORIENTALE. MENTRE ANCHE LA SITUAZIONE IN UCRAINA CONTRIBUISCE A FARE CRESCERE I PREZZI

Secondo i dati dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), a causa dell’escalation della crisi in Ucraina e in Iraq l’energia subira’ un forte rincaro in tutto il mondo. Il solo inasprimento del conflitto del gas tra Mosca e Kiev avrebbe fatto salire il prezzo del petrolio da 2 a 3 dollari in piu’ per barile, ha dichiarato il presidente del cartello petrolifero Abdalla Salem El-Badri ieri, durante una conferenza di settore a Mosca.

Iraq

I piani dell’Iraq di incrementare l’output petrolifero si sono scontrati contro il muro delle violenze settarie che attraversano il paese. L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) prevede infatti che il paese, secondo produttore dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), produrra’ nel 2019 solo 4,5 milioni di barili al giorno, la meta’ dell’obiettivo che si era posto Baghdad. La pretesa stabilita’ che l’intervento militare degli Stati Uniti avrebbe dovuto portare all’Iraq in realta’ “non e’ mai arrivata” e ora raggiungere questo obiettivo appare un’impresa impossibile, dal momento che il paese e’ diventato nuovamente fonte di tensioni geopolitiche a causa dell’escalation di violenza scatenata dallo Stato islamico di Iraq e Siria (Isis). L’offensiva lanciata da questo gruppo alimenta i timori di una guerra civile e mette in dubbio la reale capacita’ dell’Iraq di assumere il ruolo di primo piano che gli e’ stato assegnato per il futuro nell’ambito dell’Opec.

 

Messico
L’aumento dei prezzi del petrolio nel mondo dovuto all’incertezza che circonda la guerra in Iraq ha fatto prendere una boccata d’aria all’industria petrolifera messicana. Ieri, il greggio messicano ha raggiunto quota 101,23 dollari al barile, una crescita di quasi tre dollari nell’ultimo mese. Secondo la stampa locale, si tratta di una buona notizia per la compagnia petrolifera di stato, Petroleos Mexicanos (Pemex), che negli ultimi mesi ha subito perdite significative a causa della bassa produzione e del calo delle esportazioni.
Pechino e’ sempre piu’ preoccupata dal peggioramento della crisi irachena.

Cina

Preoccupata invece è la Cina non per le  questioni legate alla sicurezza e alla stabilita’ regionale, ma per  il ritorno dei massicci investimenti petroliferi compiuti in Iraq dalla prima potenza asiatica. Le tre principali compagnie petrolifere cinesi gestiscono tutte importantissime attivita’ estrattive nel paese mediorientale. Secondo Lin Boqiang, direttore del China Center for Energy Economic Research presso l’Universita’ di Xiamen, l’offensiva sunnita in Iraq “finira’ certamente per aumentare il prezzo del petrolio per la Cina, che importa oltre il 60 per cento del suo fabbisogno di greggio”. Nel caso le ostilita’ e le violenze settarie dovessero estendersi al Sud dell’iraq, dov’e’ concentrata gran parte dei principali pozzi petroliferi del paese, “i prezzi del Brent potrebbero crescere a 120 dollari al barile”, avverte il quotidiano “China Daily.

Ansia pure in Gran Bretagna
Il presidente del Consiglio d’amministrazione del Gruppo petrolifero British Petroleum (Bp), Bob Dadley, ha detto di non prevedere l’estensione dell’offensiva jihadista fino alle regioni meridionali dell’Iraq, dove sorge la maggior parte dei giacimenti petroliferi del paese; tuttavia e’ lo stesso Dadely a definire la situazione “estremamente pericolosa”. Rispondendo ad una domanda a margine di una conferenza tenuta a Mosca sulla caduta di alcune citta’ irachene nelle mani dell’organizzazione estremista che si fa chiamare “Stato islamico in Iraq e in Siria”, il presidente della Bp ha detto: “sono avvenimenti terribili che provocheranno conseguenze pericolose”.
Il premier britannico, David Cameron, ha avvertito che i miliziani jihadisti che stanno mettendo a ferro e fuoco l’Iraq in futuro potrebbero sferrare attacchi terroristici in Gran Bretagna. “Non sono d’accordo”, ha dichiarato davanti al Parlamento, “con chi pensa che tutto cio’ non abbia niente a che fare con noi e che se vogliono creare una sorta di regime islamista nel mezzo dell’Iraq questo non ci riguarda. Ci riguardera’”. “Quella gente, esattamente come sta cercando di guadagnare territorio, ha in mente di attaccare noi qui, a casa nostra, nel Regno Unito”, ha affermato il titolare di Downing Street.

Gli Usa
Non ci saranno raid aerei americani in Iraq, almeno per ora. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di non optare per un attacco immediato per contrastare l’avanzata dei ribelli sunniti dell’Isil (o Isis), scegliendo invece un approccio strategico, fornendo l’assistenza dell’intelligence ai militari iracheni, affrontando politicamente le divisioni politiche e cercando il sostegno degli alleati regionali.
Il presidente americano oggi incontrerà i leader repubblicani e democratici del Congresso, per discutere del nuovo “approccio onnicomprensivo”, com’è stato definito dai funzionari della Casa Bianca. Obama vuole evitare gli attacchi aerei perché gli Stati Uniti non hanno al momento sufficienti informazioni per colpire gli obiettivi; inoltre, il nuovo approccio servirà ad affrontare direttamente le cause della rivolta sunnita e della mancanza di unità e professionalità tra le forze militari irachene.
“Quello su cui il presidente è concentrato è una strategia onnicomprensiva, non solo una veloce risposta militare” ha detto un funzionario della Casa Bianca al Wall Street Journal. “Anche se potenzialmente potrebbe esserci una componente militare, si tratta di uno sforzo molto più ampio”.
FONTE: NOVA

Redazione

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