La criminalità organizzata nei campi rifugio «Un deficit di economia e di politica»

In guerra si mormora che per ogni proiettile sparato c’è una casa che si svuota. E il conflitto in Siria conferma l’adagio. Sono più di due milioni – 2.100.174 per l’esattezza, secondo le stime ufficiali dell’ONU – i cittadini siriani che hanno chiesto rifugio in un paese estero. La Sicilia lo sa bene, la notizia le è stata sbattuta in faccia a suon di barconi e cadaveri in piena estate, e continua a rimbombare grazie alle navi cariche di gente che fluttuano tra le coste catanesi e siracusane.

La stragrande maggioranza dei siriani in diaspora si ferma – o è costretta a fermarsi – nei campi rifugio sparsi per tutto il Medio Oriente. In Turchia, Libano, Giordania, Egitto, Iraq.  L’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (l’UNHCR) si occupa della gestione e il finanziamento di buona parte dei centri. Non che questo renda le comunità dei rifugiati sicure: nei campi più grandi è sorta una struttura di governo parallela, dominata da gruppi criminali ancora incontrastati dalle forze di sicurezza nazionali e internazionali.

Lo ha ammesso lo stesso UNHCR in un rapporto di auto-valutazione pubblicato a luglio e intitolato From slow boil to breaking point. La scelta del titolo anticipa fin troppo bene i contenuti. L’emergenza rifugiati ha il rischio di diventare totalmente ingestibile. E’ tutta una questione aritmetica: troppe le persone che lasciano la Siria, esigue le risorse per accoglierle. Con la scarsità di risorse e mancanza di controlli, il fiorire di organizzazioni criminali è un processo quasi naturale.

Il campo principale in Giordania è quello di Za’atri, che ospita più di 130.000 siriani. A Za’atri l’ONU si è concentrata nel fornire le strutture di supporto necessarie, negligendo la creazione di una governance, regole e ruoli necessari per il buon funzionamento del centro. Za’atri è rimasta senza leggi. Organizzazioni criminali giordane e siriane ora si contendono l’area. Cibo e materiali sanitari vengono sistematicamente rubati e venduti nei mercati neri. Traffico di essere umani e sfruttamento di minori sono le principali fonti d’introito delle organizzazioni.

Il traffico di essere umani avviene su due direzioni. Di nuovo verso la Siria, o via dal campo alla ricerca di una sistemazione dignitosa. La prima destinazione è per i giovani tra i 15 e i 16 anni, pronti a ingrassare il fronte delle fazioni ribelli. La seconda è per chiunque sia in grado di pagare $500 a chi di dovere. Con $500 sei fuori da Za’atri, con l’opportunità di cercare un alloggio decente in Giordania, o di rischiare la morte sulle acque del Mediterraneo per l’asilo politico in Europa.

Le vicende di Za’atri e degli altri campi rifugio siriani sono storie che purtroppo si ripetono da quando è nato il mondo. E se sei pedante abbastanza, puoi perfino vederci l’essenza stessa del crimine organizzato, notare come la sua origine – in un certo senso – non sia altro che un deficit di economia e di politica.

Il crimine organizzato ha un’anima economica, perché nasce e cresce per soddisfare una domanda che i mercati legali non contemplano. Droga, armi, prostitute o – nel nostro caso – una via d’uscita da un campo dove un buon pasto manca, da una guerra che si è mangiata casa e parenti. Ed ha anche un’anima politica, perché fiorisce laddove una struttura di governo legittima manca. Dall’Unione Sovietica a San Cristoforo a Catania, passando per Za’atri.

 

Leggi il post di Stefano Gurciullo sul blog Il Mafioscopio.

[Foto di syrianrefugees.eu]

Stefano Gurciullo

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