In vista del Congresso Nazionale che avrà luogo a Roma a luglio, domani si riuniranno a Palermo oltre 400 architetti provenienti da ogni parte della Sicilia per confrontarsi su Le città del futuro. Idee, strategie e progetti per la Sicilia. Una giornata che si svolgerà ai Cantieri Culturali della Zisa, per discutere di rigenerazione urbana e di sviluppo territoriale e dei processi in corso a Palermo e nelle altre città dell’Isola. Presenti anche Giuseppe Cappochin, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, il sindaco Leoluca Orlando e il presidente della Regione, Nello Musumeci.
Per l’occasione si prenderà spunto anche dalle esperienze già in atto in Europa. Dopo l’apertura dei lavori da parte del Presidente della Consulta regionale degli ordini degli architetti siciliani Giuseppe Falzea, e del presidente dell’ordine di Palermo Francesco Miceli, i temi al centro del dibattito saranno introdotti da Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme; Enzo Siviero, professore Luav, Ippolito Pestellini architetto Oma – Manifesta 12 e da Maurizio Carta, presidente della Scuola Politecnica dell’Università di Palermo.
«Se Palermo vuole diventare una città del diverso presente – spiega Carta a Meridionews – preferisco questo termine a città del futuro perché altrimenti sembra si stia parlando di un cosa proiettata talmente avanti che non lo vedremo mai, la sfida etica ma anche politica è cominciare da ciò che sta già accadendo. Occorre mettere a sistema dei processi che a Palermo sono già in atto, che riguardano ad esempio la mobilità o il ritrovato rapporto con il mare, finora gestiti per comparti separati. La grande sfida è metterli insieme per ripensare la città». Per Carta, in particolare, occorre rivedere il rapporto della città con il mare «che non vuol dire soltanto l’apertura del fronte del porto, ma significa provare a immaginare come parte della città possa tornare ad abitare nelle aree costiere, ripensare le borgate non soltanto come periferie ma risanarle in modo tale che possano tornare ad essere luoghi interessanti in cui vivere».
Il presidente della Scuola Politecnica si riferisce ad esempio a delle fabbriche dismesse, che potrebbero diventare luoghi di co-working o centri per l’arte e la cultura «che così non si troverebbero soltanto in alcune zone del centro storico». Processi che sono già in atto «grazie al lavoro di alcune associazioni o degli stessi cittadini che cominciano a capire – sottolinea ancora – che il riscatto della periferia passa soprattutto dal riscatto sociale». Alcuni finanziamenti in questo senso sono già arrivati. «Possiamo cominciare a pensare a un diverso presente anche perché in questo momento la città ha un’occasione anche grazie al piano regolatore che è lo spartito sul quale ognuno di noi suonerà il proprio strumento a seconda delle responsabilità e dei ruoli che riveste». E poi, indaga altre possibilità come «rendere la città capace di sfruttare risorse energetiche come il sole, il vento, l’acqua o alcune zone periferiche autosufficienti grazie al riciclo dei rifiuti, utilizzando ad esempio l’organico da trasformare in compost per orti urbani o giardini».
In quest’ottica per Carta è fondamentale il dialogo con la cittadinanza che «deve superare la sua forma episodica e diventare un confronto quotidiano. All’interno di questo ambito entrambi gli interlocutori, Comune e cittadini, alla fine dovranno modificare il proprio punto di vista. La progettazione partecipata parte dalle rispettive posizioni, si confronta con la realtà, ovvero con le regole, i tempi e le risorse, e alla fine si trova una soluzione che non è un compromesso al ribasso ma garantisce un risultato che diversamente le parti non avrebbero ottenuto agendo da sole. Il dialogo e la partecipazione devono essere il modo in cui si inizia il processo per ripensare la città».
In questo senso Carta cita una delle esperienze più interessanti, ovvero quella di Parigi dove sono stati promossi dei micro concorsi nell’ambito di Reinventer Paris: «L’amministrazione comunale chiama la cittadinanza non soltanto a esprimere un punto di vista o un parere su ciò che è stato deciso o già fatto – conclude – ma chiede progetti, chiede di individuare fonti di finanziamento, e i soggetti che li porteranno avanti per riappropriarsi di luoghi da giardini pubblici o edifici di proprietà comunale. Così il dialogo diventa concreto e fattivo».
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