C’è una chiesa nel centro storico catanese che una volta ogni 365 giorni si trasforma in una mensa popolare. L’occasione è la cena di Natale con i bambini organizzata all’ex monastero di Santa Chiara dai volontari della comunità di Sant’Egidio. Lì i banchi che ospitano i fedeli in preghiera diventano di troppo e vengono spostati in cantina. Al loro posto, sul pavimento in lastre di marmo policromo del ‘600, vengono sistemati tavolini in plastica bianca e sedie arancioni modello Ikea. L’immagine certamente inusuale è spiegata dal fatto che nella chiesa di via Garibaldi, quella volta all’anno, i ragazzi della Catania bene, come si definiscono da soli, preparano da mangiare e servono ai tavoli dei bambini delle periferie e ai minori migranti. Che si mischiano, insieme alle loro religioni.
Sono circa 200 i piccoli che partecipano alla festa di Natale, pochi di loro sono accompagnati dai genitori, una trentina arriva in autobus dal Cara di Mineo, due sono siriani e 25 rifugiati. Più femmine che maschi, il più grande del gruppo non ha nemmeno dieci anni. I volontari si prodigano per mettere tutti a loro agio: due ragazzi suonano con le chitarre canzoni orecchiabili, alcuni portano i piatti in tavola, altri organizzano giochi in piccoli gruppi. I pochi adulti occupano i lati corti della chiesa di Santa Chiara, tra loro ci sono le donne anziane del quartiere che hanno realizzato con lo spago i centrotavola a forma di pupazzo di neve. Pasta al forno seguita da cotoletta di pollo e patate per i non musulmani, cous cous di verdure per chi non mangia carne per motivi religiosi. Tutti aspettano la fine del pasto per incontrare Babbo Natale.
«Sono bambini che si portano dietro un grosso fardello fatto di problemi familiari e sociali, tutte cose più grandi di loro», commenta Angela. La figlia Renata è una volontaria della comunità e lei è lì a dare una mano. «Mi sono messa a disposizione, a volte basta quello che per noi è poco», aggiunge. Renata le fa un cenno e la madre la segue. «Queste persone sono le uniche che si preoccupano di noi», interviene Maria Antonia Rosario. Sta reggendo lo zaino del figlio – Dante, otto anni e tanta passione per Spiderman – quando si lega i capelli con un elastico e comincia a raccontare la sua storia. «Sono arrivata qua da Santo Domingo per amore nel 1984 e ho fatto la signora per tanti anni poi – continua Maria Antonia Rosario – il locale di mio marito è fallito e siamo finiti a non avere nulla da mettere nel piatto dei nostri cinque figli».
Le istituzioni «non esistono», ne è sicura la 44enne di origine sudamericana. Se ci fossero «non permetterebbero a una famiglia di sette persone di vivere in un garage con soli due letti a castello», conclude. E si allontana insieme al figlio mentre gli porta ai gomiti le maniche del maglioncino rosso già sporco di ragù. Quasi tutti i bambini sono vestiti a tema natalizio, di rosso come Dante. E «sono bellissimi», dice Ibrahim, 18enne originario della Libia. «Li guardo e mi ricordo quando anch’io ero piccolo, tanto tanto tempo fa», aggiunge. Il ragazzo è giunto su un barcone della speranza ad Augusta nel 2013. Trasferito al Cara di Mineo, è riuscito a ottenere un lavoro e a spostarsi a Catania. «Ma poi l’ho perso quel posto e in quel momento ho avuto accanto solo la comunità di Sant’Egidio. Non ho soldi ma ho scoperto un’altra famiglia», commenta. Poco dopo parte Jingle bells e i bambini fanno un coro. «Gliel’hanno imparata i ragazzi», dice una donna riferendosi ai volontari.
Tanti capelli bianchi per appena 45 anni, la catanese abita «in una stradina di via Plebiscito. Veniamo a fare un po’ di festa qua, di più per i bambini, perché non possiamo farcela a casa nostra», racconta. Lei insieme ad altri quattro familiari occupa un appartamento «piccolo piccolo e poi ci piove», precisa. I suoi figli minori non hanno chiesto nulla di particolare a Babbo Natale perché «pensano che anche lui non ha i soldi per comprare i regali». A sorprenderli poco dopo sarà il finale della serata organizzata dai volontari. «Abbiamo comprato giocattoli nuovi per tutti i bambini, sarà proprio Babbo Natale a darglieli», dice Sebastian Intelisano a MeridioNews. «Attraverso la cena dei piccoli siamo in grado di dimostrare che in uno stesso tavolo si divertono e sono amici bambini cristiani e musulmani, rifugiati e figli dei profughi: vengono tutti qua per avere un po’ di normalità e serenità. Non bisogna aspettare il futuro, l’integrazione esiste», continua. «È uno spettacolo meraviglioso che si ripresenta in questa esatta forma una volta ogni 365 giorni», conclude.
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