«Mi sto approcciando alla Lega perché non ne posso più». Ho deciso di infiltrarmi alla cena organizzata dalla Lega giovani in occasione della tre giorni catanese del partito guidato da Matteo Salvini in occasione della prima udienza del processo che lo vede imputato per sequestro di persona. Per partecipare alla cena era necessario prenotarsi via mail e questo avrebbe comportato non poche difficoltà per chi, come noi, non poteva dichiarare la propria identità. Non ci resta che mandare un messaggio a uno degli organizzatori, non prima però di averli contatti telefonicamente. «Ti chiamo perché mi piacerebbe partecipare alla cena ma non mi sono prenotato via mail, anche se vorrei incontrare il capitano», esordisco. «Non c’è problema – ribatte Alberto – mandami un messaggio con i nominativi e poi paghi all’ingresso». E così provvedo ma, non reputando strano presentarmi da solo, mi sono avvalso della compagnia di un’amica.
Alle 20 raggiungiamo i locali di Land, luogo della cena, all’interno di un blindato Porto di Catania. Non prima, però, di aver ripassato alcuni argomenti cult che ci avrebbero permesso di passare inosservati in caso qualcuno decidesse di fare conversazione con noi. Migranti, Ong, Unione Europea, grandi classici. Appena arrivati, i militari a presidio dell’ingresso ci misurano la temperatura: 36 io, 32 lei. «Bene, ma non benissimo», esclamiamo. Al secondo passaggio sulla sua fronte il termoscanner segna 35, ci fanno passare. Nel frattempo l’ansia ci assale. Mancano ormai pochi minuti all’inizio della cena e la gente comincia ad accalcarsi davanti alle porte di ingresso del locale: poche mascherine, nessun distanziamento e le nostre fronti cominciano a grondare sudore. Ma anche quelle degli altri.
«Togliti ‘sta mascherina – dice un giovane del Carroccio a un suo collega di partito intento a farsi una foto – e dai». Così decidiamo di allontanarci e attendere il nostro turno più lontani dalla calca. Davanti a noi il senatore Simone Pillon con uno dei suoi sfavillanti papillon e tanti parlamentari leghisti che si barcamenano nella folla per raggiungere l’ingresso e accedere prima degli altri. Dopo più di un’ora d’attesa sembra essere il nostro turno.«Gruppo Sicilia? Siete per la cena giovani?». «Sì», rispondiamo, ignari del fatto che nella sala accanto alla nostra ci fosse una cena per i meno giovani. Dopo averci diviso in due file per differenza d’età, finalmente entriamo.
Dopo un’altra mezz’ora di coda raggiungiamo il check-in: tre ragazzi e una ragazza, i primi con due pc davanti, la seconda addetta al rilascio del braccialetto per quanti avevano richiesto anche il vino. «I vostri nomi non ci sono», ci fanno notare. Così spieghiamo che avevamo parlato con un certo Alberto. Nemmeno il tempo di dirlo, il ragazzo seduto accanto al nostro primo interlocutore irrompe. «Sì, mi ricordo, ma mi devi dare cinquanta euro», chiede non proprio garbatamente. «Nessun problema», rispondo. «Bravo», dice lui.«Bravo io, sì – penso tra me e me – ma la ricevuta non me l’hai fatta».
Dopo tre controlli e tanta attesa riusciamo a mettere i piedi in sala. Circa una ventina di tavoli da dieci posti, tante magliette con la scritta “Processate anche me“, tutti giovani, molti lombardi. Un po’ di imbarazzo iniziale ci colpisce mentre siamo alla ricerca di posti a sedere, ma gli unici tavoli ancora disponibili sono in fondo alla sala in quello che sembra un corridoio buio e accaldato. In mancanza di altro, ci sediamo. Accanto a noi tre agrigentini giunti appositamente a Catania per incontrare il capitano. «Siamo venuti solo per vedere lui», spigano mostrando compiaciuti uno scatto con Salvini sul palco. «Una mia amica – commenta entusiasta l’altra ragazza seduta proprio accanto a noi – mi fa notare che, mentre al mio ragazzo ha messo il braccio sulle spalle, a me l’ha messo sul fianco proprio vicino al sedere».
Dopo le classiche lamentele per il cibo, per aver pagato un prezzo non proporzionato al servizio (pizza e bevanda – mai arrivata – a 25 euro oppure pizza e vino a 30 euro), arriva il primo brindisi. «A questa serata», esclamo io, molto timidamente.«A Matteo, a Matteo», ribattono loro. Passano dieci minuti e Salvini irrompe in sala. Ad accoglierlo musica a tutto volume e un boato d’ovazione: cominciano i selfie. Stavolta, però, a dispetto dei precedenti, sempre con la mascherina. Dopo venti minuti, Salvini lascia la sala e inizia la festa.
Pizze capricciose, margherite, olive e pomodorini arrivano in tavola allietando il palato di chi aspettava da più di mezzora. Ed è proprio in questo momento che accanto a noi si siedono due esponenti dei giovani della Lega, entrambi con incarichi locali e pronti a consigliare chi votare alle vicine elezioni Comunali. «La Lega è l’unica alternativa reale per giovani e anziani», mi spiega un 16enne con l’apparecchio. «La Lega di Salvini non è quella di Bossi, per lui i meridionali non sono terroni», gli fa eco un altro. Da luogo comune in luogo comune, il dialogo prosegue: «Perché i migranti devono venire qui, se non c’è lavoro? Del resto sono come molti ragazzi benestanti del sud che scelgono di andare a studiare al Nord o all’estero, ma noi abbiamo i documenti».
A interrompere lo scambio di battute è il discorso dal palco dei componenti del direttivo nazionale della Lega giovani. Prima esprimono solidarietà al capitano per il processo di oggi, poi comincia la campagna elettorale. C’è il coordinatore della Sicilia orientale Alessandro Lipera, c’è Giuseppe Miccichè, responsabile della Sicilia occidentale. Ma c’è anche qualche rappresentante delle regioni del nord Italia. Come Alessandro Verri: «Qua ci sono tante persone della Sicilia, della Puglia, del Molise, della Calabria, della Basilicata, che per essere nei giovani della Lega si sono presi insulti, sputi, schiaffi, hanno messo a disposizione il loro curriculum scolastico, professionale, della vita». «Nei posti pubblici, nei cda, nelle scuole, nei comuni, non vengono scelti i più bravi, i più competenti ma i raccomandati», tuona Verri.
Pochi minuti e il comizio finisce. Il tempo di assaggiare qualche pasticcino e si spengono le luci: ci siamo, la cena si trasforma in serata. Luci rosse e musica da discoteca mandano in fibrillazione i più. «Vedo tante ragazze che vogliono ballare – dicono dal palco in cui è stato allestito il dj set – ma i catanesi dove sono?». Ed è un nome in particolare a essere ricercato: Alessandro Lipera. «Lipera dove sei? È finito il vino», chiudono dal palco.
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