La Casa della cooperazione in un ex bene della mafia «Qui le persone sono dimenticate da ogni politica»

«Questo posto prima era una tonnara, qui i pescatori si dedicavano allo stoccaggio del pesce, e spero solo a quello». Ride mentre lo dice, Pasqua De Candia del Ciss Ong, la cooperazione che ha reso possibile la riqualificazione di un bene confiscato alla mafia, trasformandolo in una Casa della cooperazione. «Uno spazio non vissuto per tantissimo tempo, rimasto inutilizzato per ben 22 anni e di cui erano restate solo pareti di muffa e umidità, vecchi oggetti abbandonati e scheletri di topi». Si presentava così fino a poco tempo fa la palazzina in via Ponte di mare, di fronte al porticciolo di Sant’Erasmo. Malgrado le condizioni, i volontari hanno colto subito il potenziale di quello che un tempo era stato un possedimento dei Tagliavia, famiglia mafiosa del quartiere. «Oggi sono i nostri vicini, ci confrontiamo con loro quotidianamente – racconta Pasqua – All’inizio c’era un po’ di timore, ma tra noi finora c’è sempre stata una convivenza positiva».

Il bene era così deteriorato che provocava problemi a tutto lo stabile. «Le mie pareti fanno cric croc», sosteneva un’inquilina, che spesso in passato si era rivolta al Comune per sollecitare una messa in sicurezza dell’immobile. «La ristrutturazione di questo spazio ha risolto in parte anche i problemi di alcuni condomini, ma la cosa più bella per noi volontari è stata senza dubbio la loro espressione quando sono entrati qui per la prima volta a lavori conclusi, visibilmente colpiti da questa bellezza», ricorda Pasqua. Il progetto del Ciss nasce nel 2011, anno in cui per la prima volta i membri della cooperazione mettono piede nel bene. Ma il sogno di realizzare una Casa della cooperazione risale a prima: «Una cosa che sentivamo in maniera molto forte e che pensavamo potesse essere utile nel territorio. Così abbiamo presentato l’idea al Comune, che l’ha approvata mostrandoci poi questo posto».

Il primo impatto con il bene è forte, i volontari si sentono subito molto motivati. «Non c’erano arredamenti, non c’era niente, tutto era dismesso – dice – Ci siamo spaventati, ci chiedevamo da dove cominciare, ma la spinta è arrivata dal pensiero di poter riqualificare un bene confiscato alla mafia e al fatto di farlo in questo quartiere, una sorta di terra di mezzo che persino i vicini chiamano villaggio, ma che invece ha delle potenzialità incredibili». Intercettano un bando della Fondazione Con Il Sud, che permette loro di avere un budget per affrontare i lavori, durati per molto tempo. Quello che ne viene fuori è uno spazio polifunzionale, cioè culturalmente aperto in cui «costruire dei percorsi e dei processi per il quartiere e non solo, attraverso piccoli incubatori e startup», come quella per costruire barche: un modo per rafforzare la relazione col mare da parte dei giovani, recuperando anche la memoria del quartiere.

E poi ci sono soprattutto le donne: «In molte non lavorano e anche la percentuale di bambini è alta, quindi abbiamo pensato di creare dei percorsi professionalizzanti per mamme di giorno, che creano e gestiscono asili nido in casa». Aperta da appena tre mesi, la Casa della cooperazione si è subito costituita come associazione e circolo Arci, in modo che il progetto possa camminare con le proprie gambe. «Il primo salone è una sala di formazione dove si tengono proiezioni e dibattiti, ma è anche un caffè ecosolidale e collettivo, uno spazio dove vorremmo fare spettacoli e dove abbiamo già organizzato qualche concertino, ideale anche per percorsi coi bimbi del quartiere: cineforum e attività laboratoriali legate al rapporto col mare, ma anche per dare la possibilità alle persone che vivono qui di vedere altro», così la descrive Pasqua. La seconda stanza invece è uno spazio coworking: dentro ci saranno gli sportelli per le startup e quello di accompagnamento e consulenza per micro imprese con problemi di sostenibilità economica, che i volontari aiuteranno a ripartire.

«Ma è soprattutto un centro di documentazione del Ciss e ha un orientamento molto forte sulla cooperazione, sui diritti umani e sulla migrazione, e in questo quartiere è un tema molto lontano, non c’è un contatto diretto con questo tipo di soggetti e argomenti. È molto bello vedere le facce che fanno le persone della zona quando vedono tutti questi libri». Ed è proprio da fuori, dal quartiere che arrivano gli input maggiori. «Vogliamo che questo posto diventi un ponte fra i centri a cui siamo abituati a questo, che a modo suo lo è, malgrado la lontananza e la posizione – spiega ancora Pasqua – Qui le persone si sentono dimenticate da qualsiasi politica e attenzione. Ci sono tutta una serie di piccole cose che possono contribuire a migliorare la qualità della vita e che possono anche instillare quel piccolo meccanismo di cambiamento che noi speriamo di attivare».

Silvia Buffa

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