«L’opera di bonifica non può dirsi ancora conclusa». È con questa motivazione che i giudici hanno deciso di prorogare per altri sei mesi l’amministrazione giudiziaria nei confronti della società Caronte&Tourist Spa, che gestisce il servizio di traghettamento sullo Stretto di Messina. «In alcune situazioni – si legge nel provvedimento – si continua a registrare un atteggiamento di riluttanza e insofferenza ai controlli dell’amministrazione da parte della governance aziendale». La società che storicamente gestisce i collegamenti via mare tra la Sicilia e la Calabria è finita sotto amministrazione giudiziaria nel febbraio del 2021 perché dalle indagini della Direzione investigativa antimafia era emersa la presunta permeabilità alla criminalità organizzata. La Caronte&Tourist avrebbe agevolato soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta che avrebbero controllato le assunzioni e l’affidamento dei servizi all’interno delle navi a imprese legate alla criminalità. Dal bar alla pulizia delle imbarcazioni fino ai servizi di prenotazione per gli autotrasportatori.
Ed è per questo che in questa terza proroga, per la prima volta, la presidente del tribunale Natina Pratticò ha stabilito non solo l’amministrazione giudiziaria della società di navigazione ma anche «l’esonero della governance aziendale dalla gestione dei rapporti con fornitori di beni e servizi». Il gruppo Franza – proprietario della Caronte – per i prossimi sei mesi, è quindi esonerato dal gestire anche i «rapporti di cessione a terzi di beni e servizi aziendali». Di tutto si occuperanno gli amministratori che assumeranno il controllo dei vari settori dell’azienda. Dalle indagini, infatti, era emerso che il dipendente della compagnia di trasporto marittimo Massimo Buda – figlio di Santo Buda, considerato un esponente di spicco di una famiglia di ‘ndrangheta legata e coinvolto nel processo Sansone – sarebbe riuscito a garantirsi il ruolo di risolutore delle controversie tra dipendenti e fornitori. La decisione della proroga da parte della sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dei sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia Stefano Musolino e Walter Ignazitto, è arrivata perché «sulla scorta della relazione dell’amministrazione giudiziaria – come è scritto nel provvedimento dei giudici – si evince la necessità di completare il programma di sostegno alla società amministrata, al fine di rimuovere le condizioni che hanno determinato la misura, costituendo pericolo di infiltrazione criminale e di assoggettamento alle cosche di ‘ndrangheta operanti nel territorio calabrese».
Della holding per anni, e con riferimenti anche al passato, avevano parlato diversi collaboratori di giustizia. Dichiarazioni poi suffragate da riscontri investigativi. A finire sotto la lente degli investigatori, oltre a Buda, era stato pure un altro dipendente (oramai in pensione già ai tempi del primo provvedimento): Mimmo Passalacqua, anche lui ritenuto contigui alla cosca ‘ndranghetista Buda-Imerti. Il primo avrebbe controllato l’affidamento le attività di disinfestazione e derattizzazione delle navi e i servizi di prenotazione. Passalacqua avrebbe gestito, invece, soprattutto i servizi di ristorazione a bordo delle navi che sarebbero stati affidati a una compagine societaria in cui compare lui stesso e anche il figlio di un defunto boss. Nell’ultimo anno e mezzo, «sono stati introdotti nell’ambito di un’organizzazione complessa, quale quella della Caronte&Tourist – si legge nel provvedimento – una serie variegata di sistemi di prevenzione, controllo e monitoraggio di situazioni a rischio infiltrazione mafiosa. Detti strumenti sono stati implementati e sono ancora in corso di affinamento e perfezionamento, sicché l’apprezzabile sforzo dell’amministrazione giudiziaria è quello di realizzare l’obiettivo che non si traducano in mera iniziativa sulla carta, ma si confermino – concludono i giudici – quali mezzi di efficace prevenzione del rischio di permeabilità della società amministrata da parte di apparati criminali».
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