La banana republic del caimano

Dal “Vae victis” (guai ai vinti) con cui Brenno impose l’umiliante tributo ad una Roma in ginocchio, sembra prendere le mosse l’oscuro presagio con il quale il Moretti – Berlusconi, nelle sequenze finali de “ Il Caimano”, vaticina la sollevazione popolare di una folla aizzata dalle parole del premier al termine del processo che lo vede condannato a sette anni di galera.

 

Guai! All’Italia. Agli italiani. L’epilogo dell’ultima fatica cinematografica del regista di “Ecce Bombo” e “Palombella rossa”, licenzia così, un po’ superficialmente per la verità, un’ipotetica e quanto mai paventata definitiva sconfitta del Cavaliere. Se ne trae, ad onor del vero, un’immagine di una destra italiana volgare e di matrice intimamente golpista, che pare quanto meno riduttivo, identificare esclusivamente con la figura di un Berlusconi tratteggiato con indolenza ed arroganza.

 

La stereotipizzazione con la quale Moretti caratterizza il personaggio del Cavaliere, appare così sinceramente priva di una vera analisi del fenomeno Berlusconi, limitandolo ad una semplice macchietta popolare forzatamente grottesca che nulla aggiunge all’antologia iconografica cara all’Italia antiberlusconiana.

 

Berlusconi è nel film un personaggio da “fiera delle vanità” ad uso e consumo di un’ortodossia antiberlusconiana che ha, a scatola chiusa, individuato nel lungometraggio di Moretti, l’opera celebrativa della sua epopea. Tra smorfie e sorrisi plastici Moretti costruisce il caricaturale “Caimano”, famelico e spregiudicato social climber padrone di un’ “italietta” con la i minuscola, ormai disillusa dalle promesse dell’uomo della provvidenza, ed assuefatta al potere mediatico di cui dispone. Né Moretti, anche questa volta, si esime dal lanciare strali contro la classe dirigente della collaborazionista sinistra italiana, incapace a suo dire, di porre fine all’impero del Presidente del consiglio.

 

Con un meccanismo a lui caro sin da “Palombella rossa”, metafora del declino del PCI, il dramma familiare vissuto dal protagonista sembra essere l’ennesima allegoria del progressivo allontanamento della sinistra italiana da quei valori che ne hanno caratterizzato parte della sua storia. Il definitivo rinnegare da parte della moglie, ex interprete dei suoi film, della sua passata carriera o il ripensamento di un Michele Placido nella parte di un sinistrorso attore imbolsito e opportunista che cita ossessivamente i nomi di Volonté e di Mattei, compagni di lotte di un tempo che fu, rappresentano perfettamente la posizione l’eretica e polemica prese di posizione politica di Moretti.

 

Se è questo il film che, provocando l’isteria collettiva della classe politica italiana, ha suscitato l’indignazione di alcuni e la frettolosa presa di distanza di altri che temono l’effetto controproducente del suo contenuto politico, alla sua visione saranno in molti a tirare un sospiro di sollievo. Il “Caimano” è molto altro. E’ un film ben fatto, interpretato da attori di mestiere che hanno saputo interpretare magistralmente il disappunto e la disillusione di una società, quella del bel paese, in evidente declino, e dalla quale Moretti si è fatto lucido cantore.

Mauro Nicosia

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