Se davanti allo schermo si vuole andare abbastanza sul sicuro, evitando la noia oppure di doversi concentrare troppo, i cartoni offrono una certa garanzia. “Kung Fu Panda” conferma questa regola. La Dreamworks realizza, con una singolare sincronia rispetto alle Olimpiadi cinesi, un’opera citazionista e divertente, buona per piccoli e grandi. Narra le vicende di Po, un panda paffuto e sognatore, inchiodato alla trattoria di famiglia nelle vesti, o meglio nel grembiule, di cameriere. La sua mente è sempre occupata però dai campioni di arti marziali Tigre, Vipera, Mantide, Scimmia e Gru, i quali, sottoposti al rigido apprendistato del maestro Shifu, sono chiamati a garantire la sicurezza del villaggio, minacciata da un nemico esterno assai temibile: Tai Lung.
I colpi di scena sono innumerevoli, le trovate comiche pure; i registi Mark Osborne e John Stevenson inventano con maestria e disinvoltura gag godibili e leggere, senza ricorrere alla facile presa in giro del mondo del kung fu e della cultura orientale del duello a esso legata. Anzi! Qua e là semmai ne mostrano la natura cavalleresca.
I caratteri dei personaggi sono tratteggiati in maniera non approfondita, ma puntuale, così da offrire una gamma variegata di psicologie. Po, il panda, è in soprappeso e non riesce a controllarsi in fatto di mangiare, però è simpatico: come volergli male? Shifu, il maestro, è disilluso e irascibile, temprato dalle circostanze del passato. Tigre un’indomita guerriera, seriosa e austera. Il Maestro Tartaruga, un vecchio saggio, meditativo e indulgente. Tai Lung, il leopardo delle nevi, cattivissimo e vendicativo, una combinazione di astuzia e avidità di primeggiare.
Un po’ racconto di formazione, alla Karate Kid, ma con un protagonista più incapace e improbabile, un po’ parodia clemente dei cappa e spada orientali, “Kung Fu Panda” trasmette utili indicazioni morali a beneficio dei bambini, solleticandone gentilmente e bonariamente l’autostima. Al tempo stesso offre una buona dose di disimpegno, lasciandosi guardare e apprezzare per scene funamboliche di combattimento, “a gravità zero” (Lorenzo Pedrazzi “Spaziofilm.it”). Una parentesi di superficiale evasione. Niente di più!
Con colori vivaci e spesso stoccate accattivanti di esotismo, l’animazione americana sta antropomorfizzando forse in maniera eccessiva l’intera zoologia. Tra poco le specie contemplate da Linneo non le basteranno più.
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