Jules Assange, l’incubo dei potenti della terra

di Giovanna Livreri 

Tutti ormai conosciamo quel biondino pallido e slavato , apparentemente paranoico che, da qualche anno, fa tremare i poteri forti planetari, considerato il generatore di scandali internazionali e che risponde al nome di Julian Assange. Dopo anni di battaglie, che vanno avanti dal 2008, tra mordi e fuggi e tira e molla giudiziari infarciti da accuse di stupro multiplo in Svezia, lo sorso 15 giugno del 2012 Assange capisce che per lui è finita. Mentre ciò avveniva, all’oscuro di noi italiani, troppo ipnotizzati dallo spred, il Brasile diveniva l’ottava potenza mondiale defenestrando l’Italia che non verrà così più convocata al G8. Ma questa è un’altra storia.

Assange quindi si trovava a Londra. Gli agenti inglesi l’avrebbero dovuto arrestare. L’evento era già stato organizzato. Lo avrebbero portato a Stoccolma dove, all’aeroporto, non sarebbe stato prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì prelevato, come spiattellato dai giornali inglesi, da due ufficiali della Cia e da un diplomatico statunitense. I quali, avvalendosi di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni, avrebbero fatto prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato”, sostenendo che Jules Assange era “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo avrebbero portato direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove sarebbe stato sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del Patriot Act Law. Dimostrando cosi che la storia dello stupro è una montatura per i creduloni.

Sembra una spy story: ebbene, lo è. Assange, a questo punto, si consulta con il suo legale, l’ex magistrato Garzon, e fa la scelta, dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta, di passare sotto la protezione dell’ambasciatore dell’Equador a Londra. “Vai all’ambasciata dell’Ecuador, a piedi, con la metropolitana, e rimani lì”: così gli avrebbe detto il suo avvocato.

Alle 9 del mattino del 19 giugno Assange entra quindi nella sede dell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Si apprenderà su internet come, nel frattempo, il suo legale apriva una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono quindi un accordo: “Evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi.

Il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica. Facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi legali accettano, ma allo stesso tempo non si fidano (giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due azioni spettacolari. La prima, il 3 agosto, e la seconda l’indomani, 4 agosto. (sopra, foto di Julian Assange, tratta da giornalettismo.com)

Il 3 agosto 2012, quindi, avviene un evento economico mondiale, di una valenza economica internazionale. Con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner (profonda ammirazione per questa donna) si presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale (FMI) accompagnata dal suo ministro dell’Economia e dal ministro degli Esteri ecuadoregno, Mr. Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza laburista bolivariana america”), l’Unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela (altro fenomeno straordinario che andrebbe attentamente studiato per adottarlo tra l’Italia, la Spagna e la Grecia). In tale occasione la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un mega fotocopia di un assegno di 12 miliardi di euro intestato al Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha depositato poche ore prima.

Avete capito bene. Sarà la stessa Kirchner a raccontare ai tabloid inglesi come stanno le cose.

“Con questa tranche, la Repubblica Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo semplicemente la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci misure restrittive di rigore economico, sostenendo che fosse l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Oggi siamo in grado di saldare l’ultima tranche  con 16 mesi di anticipo. Le idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in materia economica sono errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale…”. (a sinistra, logo dell’FMI tratto da mondofinanzablog.com) 

Subito dopo questa dichiarazione, come riportano le cronache estere, la Kirchner ha presentato al WTO (World Trade Organization), la più importante associazione planetaria di scambi commerciali, coinvolgendo anche il Fondo Monetario Internazionale grazie ai files messi a disposizione da Wikileaks (cioè Assange), una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa. L’Argentina ha saldato con un assegno post datato i debiti, che coprirà lo stesso Fondo Monetario Internazionale con il risarcimento dei danni oltre interessi chiesto dalla stessa Kirchner. “Volevano questo, bene l’hanno ottenuto. Adesso che paghino” questo il commento mediatico della Kirchner. E’ quindi una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine, due donne ben diverse, duellano da un anno senza tregua e nella disattenzione generale. Ed ecco che rientra in scena il nostro Jules.

Tutto questo quindi per via delle rivelazioni di Assange, dato che il suo legale ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone. La rivincita di John Maynard Keynes, lui, il grande filosofo ed economista, è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del Fondo Monetario Internazionale il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. (sopra, a destra, Cristina Kichner, foto tratta da baiganchoka.com) 

Gran parte dei file sono già resi pubblici su internet. Gran parte dei file sono stati offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador. Il quale – siamo sempre al 3 agosto scorso – ricorda in una conferenza stampa a New York chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador: ovvero la prima nazione del Continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale”: ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la violazione di norme costituzionali”.

Facciamo quindi un doveroso passo indietro. Il 12 dicembre del 2008 ricorderete come il neo presidente del governo dell’Ecuador, Rafael Correa (Pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in tutto il Continente americano di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la Costituzione per opprimere il popolo, raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.

Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno. “Il Paese va isolato”, dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario Internazionale. (a sinistra, Rafael Correa, foto tratta da trustmovies.blogspot.com)  

Il Paese è in ginocchio. Il giorno dopo Hugo Chavez annuncia ufficialmente che darà il proprio contributo, dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finché la nazione non si sarà ripresa. La sera l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione.

Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondo di banane) e lancia un piano nazionale di investimenti di agricoltura biologica-ecologica pura.

Dieci giorni dopo i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad e in Danimarca la Haagen Daaz si dichiarano disponibili a firmare subito dei contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che possono essere scontate subito alla Borsa delle merci di Chicago. Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush (già deposto, ma in carica formale fino al 17 gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador”, annunciando la richiesta di espulsione del Paese dall’Onu: “Siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”.

Il mattino dopo il potente studio legale di New York, Goldberg & Goldberg, presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro.

Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq, che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e quindi aprendo la strada a un precedente storico recente. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se si annulla la decisione dell’Ecuador e allora si annulla anche quella dell’Iraq e quindi il Tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti, compresi gli interessi composti per quattro anni.

Obama, non ancora insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altro uomo. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”.

Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, con una media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a Papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” e dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”. Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto “no” al colonialismo e alla servitù, alle multinazionali europee e statunitensi.

Ma non basta. Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato un contratto di delega al suo legale: il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenterà i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”. Per chi non ricorda chi è Garzòn, vi ricordiamo come è considerato il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata. E’ lo spagnolo nemico pubblico numero uno dell’Opus Dei. E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale. Già magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della Procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993, perché presentò all’Interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia e Le cinq. (a sinistra, in alto, Baltasagarzon, foto tratta da theolivepress.es) 

Oggi, in quanto legale ufficiale di Assange, l’ora avvocato Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso dello stesso Jules Assange: file che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di Stato occidentali al Tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”.

La battaglia è dunque tutta aperta e intanto in Usa non fanno mistero del fatto che vogliono Jules all’altro mondo.

 Ndr, questo argomento è stato trattato da importanti quotidiani internazionali e dal blog di Beppe Grillo

 

 

Redazione

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