Italy: love it or leave it, film sull’Italia migliore «Bisogna restare, con coraggio e amore»

Luca e Gustav scoprono in continuazione pezzi d’Italia. L’hanno fatto nel 2007 con Improvvisamente l’inverno scorso, il documentario in cui raccontavano il paese dei Dico e dei family day. E l’hanno fatto nel 2011 con le 11 storie di Italy: love it or leave it, un altro documentario – che sarà proiettato per la prima volta a Catania il 13 febbraio al cinema King – stavolta sulla generazione che ha bisogno di cercare ragioni per restare nel proprio paese. Luca Ragazzi e Gustav Hofer, un romano e un altoatesino, hanno rispettivamente 40 e 35 anni, stanno insieme da 13 e vivono a Roma, in una casa in cui si sono appena trasferiti. «Non mi ricordo nemmeno il numero di telefono, eppure è facilissimo», ride Luca. Sono appena tornati da un lungo giro per l’Europa del Nord. «Quando siamo atterrati ci hanno accolti le temperature polari di questi giorni – ironizza – Era uguale se stavamo dov’eravamo». Se ci fossero rimasti, avrebbero continuato a girare per festival dedicati a film e documentari. «Le proiezioni di Italy: love it or leave it facevano registrare sempre il tutto esaurito». Dimostrazione di fiducia nei confronti dei due registi, «ma anche che nel mondo vogliono sapere qualcosa dell’Italia».

La storia che Luca e Gustav raccontano parte da uno sfratto che di fittizio non ha nulla. «Un anno e mezzo fa io e Gustav siamo stati costretti a cercare un nuovo posto dove stare – racconta il romano, che prima di girare documentari faceva il critico cinematografico – Lui l’ha preso come un segno del fatto che era il momento giusto per lasciare l’Italia, ma io non volevo». Nell’agenda, però, i numeri degli amici ancora nel Belpaese erano sempre meno. «Londra, Berlino, Madrid, Barcellona, qualcuno perfino in Nuova Zelanda – ricorda – Emigrati quasi tutti». Gli amici di Gustav e Luca non hanno molto in comune con gli emigrati di sessant’anni fa, non hanno una valigia di cartone sulle spalle né sono mossi dalla speranza. «Si spostano per disperazione, perché qui non c’è più niente per loro. Hanno una laurea, una professionalità, un grande avvenire fuori da qua». Perché dentro «la classe politica è vecchia, vede il progresso come una minaccia, il reazionismo è un modo d’agire normale». In qualunque altro posto, invece, le cose sono andate in maniera diversa, «si è guardato al futuro come a un’opportunità». E si è data la giusta importanza a «diritti umani, ecologia, welfare».

«Ci riempiamo tanto la bocca parlando di famiglia, noi italiani, e non facciamo bambini», argomenta Luca. Secondo lui, le motivazioni di questa completa immobilità sono da ricercare nella mancanza di uno stato sociale vero: «Sussidi di disoccupazione, aiuti economici per le mamme single». Quello che per l’Italia è una conquista ancora da fare, nell’Europa di cui facciamo parte è una realtà assodata. «Basta girare il mondo, guardarsi attorno, viaggiare e aprire gli occhi». «Capisco che un turista non chieda “Come funziona l’accesso al lavoro qui da voi?”, ma è anche vero che per comprendere un paese si deve conoscerne il sistema».

Se i turisti stranieri in Italia ci chiedessero qual è la realtà in cui viviamo, probabilmente molti miti che riguardano la penisola ne risulterebbero sfatati. «Viviamo attaccati al lustro del passato – dice il regista – Usiamo come esempio della bellezza nostrana Sophia Loren, che ha settant’anni e adesso vive in Svizzera». Ma siamo anche gli italiani di Silvio Berlusconi. «All’estero credono che la sua caduta sia stata la nostra primavera araba – spiega – Sono convinti che abbiamo vissuto in una dittatura». La verità è che l’abbiamo scelta «e potremmo farlo ancora». Perfino il governo tecnico di Mario Monti è la dimostrazione di una sconfitta. «Sono laureati, sono ministri autorevoli, che sanno quello di cui parlano» e questo è un bene. «Godono della fiducia dei cittadini, anche se impongono loro tremendi sacrifici» e anche questo è un bene. Ma «non li abbiamo scelti» e questo è un male, «perché se ci fidiamo così tanto di gente che non abbiamo eletto, vuol dire che la democrazia in Italia ha fallito».

Quello che gli italiani hanno alle spalle sembra un paesaggio desolante. Eppure, a guardare avanti, la strada non sembra così cattiva. A bordo di una Fiat Cinquecento, Gustav e Luca hanno cercato per sei mesi le ragioni più valide per amare l’Italia. Hanno letto su internet le storie più belle e hanno scoperto che l’unico modo per scovarne di nuove era andare nei posti, parlare con la gente. «Italy: love it or leave it è la dimostrazione che siamo tutto il contrario di tutto». Luca non ha dubbi: il nostro stivale vive di contraddizioni, «va da Slow food agli schiavi di Rosarno, passa per Comunione e liberazione e arriva all’eremo di Pulsano in cui abbiamo conosciuto i monaci benedettini che ci hanno riconciliati con la religione». Dalle Alpi allo stretto di Messina – superato anche senza ponte – il documentario della coppia Ragazzi-Hofer racconta «l’Italia migliore». Paradossalmente, le cose più belle le hanno scoperte al Sud, «nei posti più poveri». «Nel Mezzogiorno ti aprono le porte, ti sorridono, ti accolgono – racconta Luca – Forse perché hanno pochi soldi da farsi rubare e tanto da dire».

Quando hanno finito le riprese, Luca e Gustav hanno deciso di non partire. «Ci siamo innamorati di nuovo di questa terra, ne abbiamo descritto la rivalsa». Anche se nei finanziamenti del film – disponibile anche su iTunes – l’Italia non ha avuto un grande ruolo: «Non li abbiamo nemmeno chiesti, sapevamo che sarebbe stato troppo difficile ottenerli e non potevamo aspettare i tempi della burocrazia». Ma RaiTre, sul finire dei lavori, «è intervenuta con un pre-acquisto». Italy: love it or leave it è costato 150mila euro ai sei paesi europei che hanno permesso fosse realizzato. Sei paesi europei hanno fatto sì che qualcuno raccontasse gli italiani dimenticati. E due documentaristi semi-improvvisati hanno portato sul grande schermo la loro risposta alla domanda «Andare o partire?»: «Restare, con coraggio e con amore».

Luisa Santangelo

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