IL TAGLIO ALLE PENSIONI E L’ATTACCO AI FONDI COMUNI NON RISOLVEREBBERO I PROBLEMI DEL NOSTRO PAESE FINITO NELLA ‘TRAPPOLA’ DELL’EURO. SERVE UNA SVOLTA NELLE POLITICHE EUROPEE. O L’USCITA DALLA MONETA COMUNE
di Economicus
Ora Matteo Renzi dice che l’Unione europea non può essere solo fatta da tagli e spread. Il nostro Presidente del Consiglio dimentica un altro elemento che oggi sintetizza l’Europa unita: i costi enormi che alcuni trattati internazionali impongono al nostro Paese e i costi, altrettanto proibitivi, di Parlamento europeo e, soprattutto, della burocrazia europea.
In questo l’Italia si conferma un Paese dove l’informazione è carente. I giornali e le tv del nostro Paese, ormai da un anno, ci deliziano di servizi contro i costi della politica italiana. Soprattutto contro il Parlamento italiano e contro le burocrazia di Montecitorio e Palazzo Madama.
Ma nessuno, chissà perché, ricorda che un parlamentare guadagna più del doppio di un parlamentare europeo. E che la burocrazia europea – soprattutto quella di Parlamento europeo e Commissione europea – costa alla collettività molto di più della burocrazia del Parlamento italiano!
Ci piacerebbe vedere in tv – possibilmente nella tv pubblica che gli italiani pagano con un canone esoso – quanto costano benzina e gasolio in Germania. Si scoprirebbe che un litro di benzina e un litro di gasolio, in terra tedesca, costano, in media, 0,50 euro in meno.
Lo stesso discorso vale per i prodotti agro-alimentari. Sulla rete, da qualche mese, circola un video che illustra la differenza di prezzi – con l’acquisto degli stessi prodotti – tra un supermercato italiano e uno tedesco. In Germania i prodotti agroalimentari costano, in media, il 20 per cento in meno rispetto a quelli italiani.
Ancora la rete non c’è arrivata – o forse noi non ce ne siamo accorti – ma se si va a scavare sui redditi, si scoprirà che, a parità di lavoro, in Germania si guadagna di più che in Italia.
C’è chi è già pronto a ribattere che l’economia tedesca è più forte di quella italiana. Perché in Germania – con riferimento alle attività produttive – oltre all’innovazione di prodotto, c’è anche l’innovazione di processo. Questo, forse, potrebbe essere vero si si dovesse fare un raffronto, che ormai riguarda il passato, tra industria automobilistica italiana e tedesca.
Tolta la grande industria automobilistica, in quasi tutto il resto dell’economia questa diversità tra Germania e Italia, in termini tecnologici, non c’è stata e non c’è. Se torniamo ai primi anni ’90 ci accorgiamo che le Partecipazioni statali italiane – soprattutto Iri ed Eni – erano più avanti di certi grandi gruppi privati a pubblici tedeschi e francesi. A questo primato si accompagnava un robusto sistema di piccole e medie imprese – il noto made in Italy – che il mondo ci invidiava.
Fu allora che iniziò un’operazione a tenaglia per distruggere l’economia italiana: operazione che non è ancora terminata. Basti ricordare alla guerra alla Libia di Gheddafi – una guerra contro gli interessi dell’Eni e, quindi, contro gli interessi dell’Italia – ma patrocinata anche da ottusi o impauriti Governi italiani!
Dal presente al passato: come dimenticare la speculazione sulla lira nel 1992, ‘pilotata’ da personaggi che ritroviamo ancora oggi tra le ombre della crisi economica e politica del nostro Paese?
Anche su Tangentopoli – per chi ha un po’ di memoria – pesa l’ombra della Germania. Ne parlarono, in quegli anni, alcuni politici democristiani.
Oggi i fatti sono ancora più chiari. Ma si preferisce non vederli. Dicono che l’economia italiana è in crisi perché non si è rinnovata sotto il profilo tecnologico. Tesi fragile.
Perché le università italiane, storicamente, piuttosto che trasferire tecnologie al sistema delle imprese, hanno trasferito negli stessi Atenei amici e soprattutto parenti degli stessi docenti universitari.
Non è un mistero che le università del nostro Paese non siano tra le prime al mondo. Mentre i giovani italiani validi vanno via a lavorare in università e centri di ricerca stranieri, perché nel nostro Paese le università debbono fare posto alle mogli, ai mariti, ai figli, ai nipoti e persino alle amanti dei docenti.
Che significa questo? Che le piccole e medie imprese italiane sono andate avanti da sole: e fino a prima dell’entrata dell’Italia nell’euro sono andate bene. In crisi sono oggi perché la moneta unica – che non è ‘terza’ rispetto a un sistema economico, ma parte fondante e condizionante – unitamente a un sistema creditizio ‘malato’ non consente alle piccole e medie imprese italiane di esprimersi al meglio.
Quanto ai grandi gruppi italiani – oggi società per azioni controllate per lo più dallo Stato – la guerra, lo ribadiamo, non è finita: l’Eni, ‘azzoppata’ con l’attacco alla Libia, è ancora forte: ma fino a quando lo sarà? E quanto resisterà?
Alitalia l’abbiamo già salutata. Mentre in tutti i modi si cerca di indebolire Finmeccanica, con il concorso di una disinformazione quasi integrale. O di inchieste giudiziarie, magari legittime, ma che indeboliscono questo grande gruppo del nostro Paese che qualche Paese estero vorrebbe fagocitare.
Insomma, guerra ai grandi gruppi economici del nostro Paese, eredi delle gloriose Partecipazioni statali dell’Italia di fine anni ’80; e guerra contro il sistema delle piccole e medie imprese italiane, bloccate da un euro troppo forte e, soprattutto, da un sistema bancario che, invece di sostenere le imprese – soprattutto le piccole e medie imprese – sostiene se stesso.
Emblematico il ‘caso’ di una banca del nostro Paese in gravissima crisi alla quale sono stati ‘prestati’ 4 miliardi di euro scippati agl’italiani con l’Imu. Soldi che, invece di sostenere le piccole e medie imprese, sono andati a sostenere – e sostengono ancora oggi – questa banca! Quasi che il futuro di una banca sia più importante del futuro delle piccole e medie imprese italiane!
A questo paradosso si somma un altro paradosso: le banche italiane, creditrici verso un gruppo imprenditoriale tradizionalmente vicino a una parte politica, invece di fare fallire tale gruppo trasformano i debiti in ‘partecipazioni’…
Di fatto assistiamo a un’Italia che, invece di sostenere le piccole e medie imprese, sostiene gruppi economici ‘politici’.
In tutto questo bisogna pagare i costi di trattati internazionali-capestro che l’Unione europea ha imposto all’Italia: da qui il probabile prelievo sulle pensioni degl’italiani. Un’ennesima vergogna che nessuno spiega.
In questo momento, nonostante le difficoltà di cambio, le piccole e medie imprese italiane provano ad esportare. E, anche se in parte, ci riescono a prezzo di grandi sacrifici.
Ma debbono fronteggiare la palla al piede di un mercato interno fermo. La domanda al consumo interno, in Italia, è bloccata. Le famiglie sono allo stremo, massacrate dalle tasse (tra un po’ arriveranno Tasi e Tari). In un Paese dove ormai le famiglie si indebitano per pagare le tasse cme si può pensare di rilanciare i consumi?
Non potendo più colpire i redditi, cosa pensa la nostra Europa unità? Di taglieggiare le pensioni degli italiani. “Quelle alte”, dicono certuni. Non capendo che il taglio delle pensioni farà aumentare la paura nelle famiglie italiane, riducendo ulteriormente la domanda al consumo. Mettendo in crisi altre aziende e creando ulteriore disoccupazione.
Non solo. C’è anche il pericolo di un’imposta patrimoniale. Che si potrebbe concretizzare in un attacco al miliardo e 400 milioni di euro di fondi comuni che gli italiani farebbero bene a smontare prima di regalarli all’Unione europea.
Davanti a questi problemi che attanagliano l’economia italiana il Governo di Matteo Renzi che fa? Si limita a una critica piuttosto blanda all’Unione europea e annuncia grandi “riforme strutturali”. E quali sarebbero queste grandi riforme ‘strutturali’? l’Abolizione del Senato della Repubblica e una legge elettorale – l’Italicum – che per certi versi è addirittura peggiore del Porcellum! Una legge elettorale che ripropone la ‘nomina’ dei deputati, da parte delle segreterie dei Partiti, della futura Camera dei deputati!
La legge elettorale che Renzi e Berlusconi stanno cercando di imporre al nostro Paese è l’altra faccia della medaglia dei ‘rimedi’ alla crisi economica italiana.
Il debito pubblico italiano che cresce non per sostenere la spesa pubblica in favore dei cittadini – come cercano di farci credere disinformandoci – ma per sostenere i costi sempre più esosi dell’Unione europea (dal Fiscal Compact alle tante ‘missioni di pace’, non ultime le ‘guerre’ che il ‘Premio Nobel per la pace’, Barak Obama, ha disseminato tra il Mediterraneo, l’Ucraina e adesso anche in Iraq) e il gioco delle spread sono meccanismi infernali destinati a riproporsi nei prossimi anni. A meno che l’Italia non decida di uscire dall’euro.
Si badi: non di uscire dall’Unione europea, ma dall’euro. Nell’Unione europea ci sono, infatti, almeno dieci Paesi che non fanno parte dell’euro e se la passano benissimo.
La crescita del debito pubblico italiano (che schizzerà ancora all’insù con la partecipazione dell’Italia alla guerra in Iraq: com’è che nessuno lo dice?) e il gioco dello spread – unitamente all’euro sovrapprezzato e alle banche che non erogano crediti alle imprese del nostro Paese – sono problemi destinati, lo ribadiamo, a riproporsi negli anni successivi.
Ciò significa che l’eventuale taglio alle pensioni degli italiani, o un’eventuale imposta patrimoniale (per esempio, un ‘attacco’ ai fondi comuni, tutt’altro che irrealistico dopo l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, con un’aliquota passata da 12 al 26 per cento) non risolverebbero il problema, che si riproporrà, tale e quale, se non aggravato, negli anni successivi.
Da qui il tentativo di Renzi e di Berlusconi di sistemare nella futura Camera de deputati – tra gli ultimi presidi di democrazia rimasti ancora in piedi – i propri sodali, con molta probabilità ‘selezionati’ di comune accordo con le ‘massonerie’ finanziarie che oggi controllano l’Unione europea.
Il tutto in barba alla democrazia e al pronunciamento della Corte Costituzionale sul Porcellum. Con la prospettiva che la stessa Corte Costituzionale del nostro Paese venga inglobata in qualche magistratura europea.
Che fare davanti a tale scenario? Le vie percorribili non sono molte. Serve un cambiamento radicale delle politiche economiche europee. E una ricontrattazione del debito pubblico italiano che non può essere trasformato in debito di famiglie e imprese italiane, come pretende l’Unione europea.
Senza questi due passaggi sarà inutile discutere anche di credito. Senza questi due passaggi è bene che il nostro paese metta nel conto la già accennata uscita dal sistema euro.
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