LA STATE GRID CORPORATION OF CINA SI PRENDE UNA COSPICUA PARTE DELLE RETI DEL GAS E DELL’ELETTRICITA’ ITALIANE. INVECE DI RIDURRE LA PRESSIONE FISCALE E RILANCIARE LE IMPRESE, IL GOVERNO RENZI AUMENTA LE TASSE E SVENDE I ‘GIOIELLI DI FAMIGLIA’. MA DA CHI SIAMO GOVERNATI?
Con una operazione sbarazzina il governo di Matteo Renzi ha ceduto alla compagnia cinese State Grid Corporation of China il 35 per cento delle reti di distribuzione del gas e dell’elettricità (Cdp Reti). In pratica, la più grande società elettrica del mondo compra per 2 miliardi il 35% di Cdp Reti, il gruppo del nostro Paese che controlla il 30% di Snam, il gruppo del gas e dei gasdotti e, a breve, il 30% di Terna, loperatore della rete elettrica.
Tutto per fare ‘cassa’ (2 milioni di euro). L’operazione è stata condotta dalla Cassa Depositi e Prestiti, la società controllata dal Ministero del tesoro che cura i risparmi degli italiani, specialmente i piccoli che, fiduciosi, vengono depositati dalla povera gente presso gli sportelli postali, per ‘metterli al sicuro’.
Sull’operazione merita di essere ricordata la dichiarazione del presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, che la ritiene un risultato importante di un piano di investimenti più grande, che ha l’obiettivo di rafforzare i rapporti commerciali e d’investimento. Rapporti già buoni e che promettono altre prospettive.
La compagnia cinese è stata costituita nel 2002 per la distribuzione dell’energia sul territorio interno e curare i rapporti internazionali nel ramo energetico.
Queste le scarne notizie che vengono da questo ‘affare’, ma è alle circostanze di fondo che occorre fare riferimento per capire la gravità del fatto. Secondo gli impegni assunti dall’Italia nei confronti dell’Europa, allo scopo di ridurre il debito pubblico il nostro Paese si è obbligato a cedere ogni anno beni del suo patrimonio equivalenti al 7 per cento del Prodotto nazionale lordo (Pil).
Questo è, dunque, il risultato delle trattative che Matteo Renzi ha condotto con la sua baldanza in Europa. Dalle nostre parti c’è un modo colorito per definire situazioni come questa: Iu pi futtiri e fu futtutu. Traduzione, era andato in Europa per far vale le ragioni dell’Italia sulle prospettive europee ed è tornato con le pive nel sacco e costretto a rivedere i suoi propositi e a mettere in vendita i beni italiani per fare ‘cassa’ e potere riscattare la dignità nazionale nei confronti dei partner continentali.
Infatti, in Europa non si fanno incantare dalle chiacchiere e vogliono riscontri ‘contanti’. A differenza degli italiani che si lasciano facilmente incantare dalle chiacchiere e dal fascino dell’uomo determinato e solo al comando, l’uomo della provvidenza.
D’altra parte, è tutta l’Italia in svendita. Tutti gli asset del made in Italy sono ormai appannaggio di imprese straniere: le banche, i trasporti aerei, le maison del fashion, l’industria tessile, buona parte della petrolchimica, le telecomunicazioni e via continuando. Non si vede il perché anche lo Stato non debba ricorrere agli aiuti stranieri per raddrizzare le conseguenze delle sue malefatte passate e recenti.
La tanto decantata imprenditoria nazionale, specie quella di piccola e media dimensione, non è più in grado di rappresentare il futuro economico del Paese, vuoi per responsabilità proprie, in quanto non è riuscita a darsi dimensioni produttive capaci di essere competitive nell’arena globale e vuoi per le difficoltà che incontra ogni giorno tra le ristrettezze creditizie e l’onerosità fiscale.
Questo degrado ha alzato la soglia di povertà a livello dei ceti medio bassi, se è vero che, oggi, un italiano su sei è povero. E ormai i poveri in Italia hanno raggiunto il ragguardevole traguardo dei 10 milioni di persone. Né rispetto a tale degrado si intravedono vie d’uscita, tranne quella di svendere il patrimonio per pagare i debiti.
La nostra classe dirigente, che pure in occasione delle recenti elezioni europee ha conseguito lusinghieri consensi, si preoccupa dello stato fallimentare del Paese. Non se ne rende conto o non intende rendersene conto. Preferisce ‘distrarsi’ con discussioni oziose sulle riforme costituzionali da conseguire al più presto perché sono queste che, a suo parere, impediscono la ripresa economica, l’occupazione, i consumi. Come se gli investimenti in attività produttive sono impedite dal bicameralismo o dalla rappresentanza parlamentare delle piccole formazioni politiche. Ma a cu a cunti, Renzi? Chisti sunnu nuoliti. Altra traduzione: Ma che vai raccontando, Renzi? Queste sono bizzarrie.
Dai Matteo, scendi dal piedistallo delle ambizioni di potere e, se ne sei capace, datti una mossa in direzione della ripresa economica, produttiva e occupazionale. E’ questo l’unico modo universalmente riconosciuto idoneo a pagare i debiti: lavorare di più, per produrre di più e ricavare maggiore ricchezza. E’ una formula universalmente riconosciuta per risolvere i problemi economici, pagare le spese, incrementare i consumi e saldare i debiti. Su queste questioni che devi far valere le tue capacità. Lascia stare le riforme costituzionali che sono cose più grandi di te. Quelle le fa il Parlamento, se non addirittura un’assemblea eletta ad hoc.
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