Italia, elezioni 2008: si volta pagina

Aspettarsi una vittoria del PD, a sei mesi dalla fondazione, non era plausibile. Soprattutto dopo l’esperienza disastrosa del governo Prodi che, personalmente, considero uno dei più impopolari della storia repubblicana. Basti il ricorso continuo al voto di fiducia per stigmatizzare un governo che ha messo in mora la democrazia parlamentare. Penso che peggio di questo ci sia stato solo il governo Tambroni dell’estate 1960, rimasto in carica pochi mesi e, per fortuna, unico.
Ciò detto, preferisco vedere il classico bicchiere mezzo pieno.

Ho visto subito con favore il proposito di Veltroni di correre da solo, perché immaginavo che questa scelta avrebbe ridimensionato le pretese di partiti con percentuali di rappresentanza da prefisso telefonico, portando un minimo di ordine nel sistema politico italiano, caratterizzato da una miriade di forze politiche di tipo personalistico. Ma il progetto del PD, per sua natura, è un progetto che ha bisogno di tempi ben più lunghi dei sei mesi trascorsi.
Queste elezioni, secondo me, hanno causato un primo importante effetto nel centro-sinistra: hanno messo a tappeto, e dunque a riposo, buona parte di una classe dirigente vecchia e conservatrice, a cominciare dalla c.d. sinistra radicale che ha dimostrato la propria siderale distanza dalle esigenze e dai problemi più semplici dell’elettorato che pretende di rappresentare.
Questo elettorato, che non è più quello proletario degli anni ’70 e ’80, oggi necessita di risposte immediate e concrete ai problemi del quotidiano e non è più sensibile alle battaglie ideali, seppure nobili in linea di principio, per l’emancipazione delle classi lavoratrici proposte da un Bertinotti che, per sua stessa ammissione, ha assunto atteggiamenti da intellettuale ciarliero lontano dai cancelli delle fabbriche. Ma quali fabbriche? Mi verrebbe da chiedere. I grandi stabilimenti industriali degli anni ’60 sono ormai un ricordo. Oggi l’economia si regge sulle micro imprese ad alto contenuto tecnologico. Le grandi produzioni di massa, e spesso non solo quelle, sono per lo più delocalizzate in paesi nei quali il costo della mano d’opera è 1/10 di quello italiano e la struttura portante della nostra economia è costituita da piccole e piccolissime imprese a forte connotazione individualistica, che si caratterizzano per la centralità della persona dell’imprenditore.
Se poi vogliamo guardare al mondo delle professioni, negli ultimi due decenni hanno visto la luce dozzine di professioni nuove, non regolamentate. Si pensi che nel 2002 (Fonti: CNEL, CENSIS, Ordini e Collegi professionali) i professionisti appartenenti a categorie regolamentate, cioè iscritti ad ordini e collegi professionali, erano 1.659.514, mentre quelli NON regolamentati, la cui attività cioè non è soggetta a norme specifiche di legge, erano ben 3.892.856 (Fonte: CENSIS 2004, Primo rapporto sulle associazioni professionali), oltre il doppio, ed io stesso appartengo a quest’ultima categoria. Ebbene, non ho mai visto nelle forze politiche che si richiamano al centro-sinistra il minimo interesse per questa fascia di elettorato, anzi la loro politica ha mirato a penalizzarlo con assurde norme da stato di polizia, come le leggi “Bersani” dei mesi scorsi che, con interventi dissennati in alcuni specifici comparti economici, hanno addirittura provocato la chiusura di centinaia di studi professionali.
Che dire, poi, dei farneticanti provvedimenti restrittivi in materia bancaria che, lungi dall’essere efficaci per la lotta al riciclaggio e all’evasione fiscale (figurarsi se un mafioso o un evasore fiscale trasferisce soldi con assegni bancari!!!) aumentano quella quantità di lacci e lacciuoli che imbrigliano la libera iniziativa in questo Paese.

Dunque, una sinistra distante dalle nuove esigenze della popolazione e dell’economia e anacronistica nelle soluzioni proposte.
Il progetto del PD, in questo contesto, ha rappresentato la vera novità, una svolta decisiva per la costruzione di un’alternativa progressista e riformista, capace di rinnovare radicalmente il Paese, portandolo ai livelli di eccellenza che merita.
Certo, la strada è ancora lunga e difficile. Bisognerà, a bocce ferme, valutare attentamente l’esito del voto e prendere coraggiose decisioni per rinnovare una classe dirigente che deve necessariamente essere all’altezza delle sfide che un lungo periodo di propositiva opposizione parlamentare impone. Che ciò sia possibile è un’ipotesi nella quale ho fiducia. Non nascondo, tuttavia, la preoccupazione per una possibile deriva autoritaria causata da manifestazioni di piazza e massimalismi sindacali che potrebbero essere innescati da una sinistra radicale delusa e desiderosa di improbabili rivalse.
Ma si tratta di un rischio da mettere in conto.

In conclusione, siamo chiamati tutti ad un forte impegno nel nome di un interesse generale del Paese che non può passare in secondo piano. Il PDL ha vinto regolari elezioni democratiche e, come dice Berlusconi, ha l’onore e l’onere di governare. L’opposizione ha il dovere di contribuire in modo propositivo al bene comune e può incalzare il prossimo Governo su questioni importanti a partire dalle riforme istituzionali che tutti da decenni attendiamo. Non dimentichiamo che tra un anno si dovrà tenere il referendum elettorale e questo sarà il primo banco di prova, sia per le forze di governo che per quelle di opposizione.
Bisognerà intervenire sulla legge elettorale in maniera determinante e poi c’è il capitolo “Costi della politica” che deve essere affrontato una volta per tutte, eliminando gli sprechi di un apparato faraonico, incapace di dare risposte e risultati alle istanze di governabilità locali e nazionali e quello, importantissimo, della sua etica e moralità, con la messa al bando di pregiudicati e faccendieri che ancora numerosi inquinano la vita democratica.
Come cittadini dobbiamo mantenere alta l’attenzione su questi temi, senza tentennamenti o esitazioni di sorta.

Paolo Pavia

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