«
Noi giocavamo pure con i soldi di Cosa nostra, noi puntavamo e noi investivamo. Conosco un fantino, incorruttibile, uno che all’ippodromo prendeva legnate dalla mattina alla sera perché non si faceva corrompere, ma il Niosi gliene ha fatto dare legnate». Scommesse truccate e gare pilotate, e persino violenze a chi si sarebbe rifiutato di piegarsi alle minacce. È quanto emerge dalle indagini compiute dai carabinieri, poi confluite nell’operazione Talea, che ha colpito i mandamenti di Resuttana e San Lorenzo, che ruota attorno a un giro di affari illeciti della mafia sull’ippodromo di Palermo. Gravi elementi che fanno il paio con l’interdittiva antimafia emessa pochi giorni fa dalla prefettura e che hanno spinto ieri il ministero delle Politiche agricole a revocare la concessione alla Ires, la società palermitana che gestisce le gare dell’anello di viale del Fante.
Dalle intercettazioni, e dai racconti dei pentiti, tra cui
Vito Galatolo e Silvio Guerrera, è emersa la figura di spicco di Giovanni Niosi. Ed è proprio Galatolo a ricostruire come la mafia riuscisse a controllare le gare per anni attraverso di lui, un soggetto da sempre «vicinissimo» ai mandamenti di Resuttana e San Lorenzo, molto legato ai Bonanno e ai Lo Piccolo. Per il collaboratore, Niosi era delegato a gestire per conto di Cosa nostra tutti gli affari illeciti della struttura, occupandosi in particolare di pilotare e truccare le corse nelle quali l’organizzazione criminale decideva di investire proventi illeciti.
«Lui ha gestito tutte le corse e tutte le tris che c’erano» e lui «era quello che dava i soldi ai guidatori, per
corrompere i fantini, perché se no come si fanno le cose? Dovevo vincere io, allora gli altri si stavano dietro… il secondo doveva arrivare… questo e il terzo doveva arrivare quello… e così come partivano arrivavano». E chi si ribellava veniva anche picchiato: «I guidatori bene li conosce lui, a chi deve dare colpi di legno e di fatti li deve dare lui. Difatti c’è stato, non mi ricordo a chi, quand’è uscito è andato… ha dato schiaffi a un guidatore». E questo lo decideva con «Cosa nostra che poi investiva tutti i soldi nelle sale scommesse». Ma gli interessi si sarebbero estesi anche al bar all’interno della struttura, che ogni mese doveva versare alcune migliaia d’euro alla mafia.
Il potere di Niosi sarebbe durato fino al 2015 quando, a prendere il suo posto, sarebbero arrivati Sergio Napolitano e Pietro Salsiera, che lo avrebbero sostituito. Tra i motivi, il fatto che avesse patteggiato nel processo Addio Pizzo 5, mettendosi in cattiva luce agli occhi dei capimafia, e soprattutto le accuse che gli venivano rivolte di intascare somme destinate alle casse di Cosa nostra.
Tutti elementi che hanno spinto il ministero a bloccare le corse e revocare la concessione all’Ires. Un intervento in un primo momento invocato proprio dal presidente della società che gestisce le gare
Giovanni Cascio – il cui insediamento è successivo alle intercettazioni -, che a fine febbraio ha deciso di sospendere una corsa per presunte irregolarità e richiedere il sopralluogo degli ispettori del ministero per fare chiarezza. Stop che è durato fino a luglio, dopo che il ministero ha concesso l’autorizzazione alla ripresa delle attività sportive, obbligando però i gestori dell’impianto a osservare una serie di prescrizioni per garantire la regolarità delle manifestazioni. Se da un lato la gestione ha annunciato di voler presentare ricorso, rimane in bilico il futuro dei lavoratori, circa 70 persone, e dell’indotto, già fiaccati dal lungo periodo di chiusura.
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