«La storia che mi ha colpito di più? Quella di una donna che, a dispetto delle sue intenzioni iniziali, alla fine ha deciso di portare a termine la gravidanza e partorire quel bambino, anche se ha deciso di non tenerlo e di darlo in adozione». Sono storie a lieto fine, quelle come questa. E Silvia Grassi lo sa bene. Lei è una psicoterapeuta e lavora all’ambulatorio per le interruzioni di gravidanza nato nel 2008 all’interno della clinica Candela. Un servizio pubblico e aperto a tutti, indipendentemente dall’età e dalla provenienza, l’unico a Palermo convenzionato con il sistema sanitario nazionale e quindi assolutamente gratuito. Il che non è poco. Un servizio al quale si rivolgono soprattutto sempre più donne straniere, un numero in aumento dal 2012, ma che non sempre hanno tutti gli strumenti necessari per accedervi.
«Le pazienti straniere vengono da tutte le parti, dalla Romania al Sudafrica, noi siamo una città veramente multiculturale – spiega la dottoressa -. Donne, nella maggior parte dei casi, che si scontrano con criticità di natura religiosa e culturale rispetto a questa delicata scelta. Ma non solo». Per alcune di loro, infatti, persino la contraccezione può rappresentare un problema, in base alla fede in cui credono e per la quale seguire certe precauzioni non sarebbe tollerabile. Un vincolo che però porta, in molti casi, a gravidanze indesiderate e alla necessità di pensare a un’interruzione volontaria di gravidanza come unica via d’uscita. Le richieste, intanto, aumentano per accedere ai servizi offerti dalla clinica. E malgrado l’efficienza, manca ancora la figura di un mediatore culturale, che possa agevolare il percorso intrapreso dalle donne straniere.
«Per ora ci destreggiamo – torna a dire la psicoterapeuta -. Ma sarebbe importante avere qui una figura come questa, che faccia da tramite, che spieghi al meglio tutto quello che c’è da sapere. Fino ad ora abbiamo fatto tutto da noi, approfittando di chi capiva l’inglese per esempio o, in caso di coppie, c’è sempre qualcuno che riesce a capire più o quanto l’altro». Nei dieci anni di attività è capitato di imbattersi nelle storie e nelle vicende più disparate, alcune anche brutali. Come i casi di abuso. «Ci sono stati degli episodi, ma per fortuna pochi. Noi siamo comunque attrezzati e mettiamo subito in contatto le donne con un centro antiviolenza che le prenda in carico». E se le storie sono diverse, l’iter è però sempre uguale per tutte le donne. Prima c’è un incontro iniziale con la psicoterapeuta, un colloquio che non è in alcun modo valutativo, piuttosto informativo rispetto alla scelta finale.
«Cerco di mettere al corrente di tutto, di rendere ognuna pienamente consapevole così da poter decidere con serenità e con maggiore saggezza, conoscendo ogni aspetto, ogni conseguenza, tutto. Più sono arrivate a questa scelta con consapevolezza minori sono i rischi di pentimento futuro». E le conseguenze ci sono, eccome. «Anche se questa interruzione è volontaria e ponderata, rappresenta comunque una perdita. E, a volte, un trauma. Per questo indichiamo loro anche degli spazi appositi a cui rivolgersi per elaborare questo lutto. Ogni paziente arriva qui con una serie di limiti, specie a livello conoscitivo. Il mio compito è mettere in luce tutte le risorse in gioco, invece». Il secondo step prevede una visita con il ginecologo non obiettore di coscienza, che sottopone la paziente a un’ecografia interna per stabilire i tempi della gravidanza e, in caso di interruzione, il modo migliore di procedere. Si può infatti optare per un metodo chirurgico o farmacologicamente con la pillola Ru486, in base ai casi.
I motivi che portano le donne, palermitane e non, sono i più svariati, «provare a elencarli tutti sarebbe difficilissimo». Alcune hanno alle spalle storie di rapporti violenti, altre hanno partner occasionali e un percorso di studi da portare a termine. Altre ancora sono in un certo senso «costrette» a prendere in esame una scelta del genere per via di patologie o di farmaci che assumono e che metterebbero a rischio il bambino. Altre invece si sentono oppresse dal fattore economico. Persino chi ha già una famiglia e altri figli. Motivo per cui, tra le informazioni fornite sin dall’inizio dalla psicoterapeuta, ci sono anche quelle relativa a questo aspetto: dai possibili sussidi ai bonus maternità in caso di indigenza. «Si sta molti attenti da un punto di vista psicologico ad accompagnare questo momento nel modo meno traumatico possibile, anche se si tratta di una scelta voluta – spiega ancora Silvia Grassi -. Anche piccole accortezze contano moltissimo, per esempio non si mettono insieme nella stessa stanza una donna che ha appena abortito e una che invece ha appena partorito».
Nel periodo 2013-2017 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 385 in totale, di queste 53 riguardanti donne straniere: 37 in modalità chirurgica e 16 in modalità farmacologica. Un dato in linea con quello regionale e significativamente inferiore a quello nazionale. «L’efficienza del servizio potrebbe aumentare col mediatore culturale – ribadisce la dottoressa – o un assistente sociale per le situazioni più critiche. E diffondendo informazioni importanti riguardanti la contraccezione. Ma anche con l’ampliamento del servizio stesso, ma per questo servono più medici obiettori e un budget maggiore. Sarebbe importante, visto che di per sé il servizio funziona già molto bene e le richieste aumentano anno dopo anno. Venendo qui le donne si sentono sostenute, oltre che informate, tiriamo fuori le risorse da ognuna, anche se è complesso perché ogni storia è una storia a sé». Il limite all’esecuzione delle interruzioni volontarie alla clinica Candela è dettato soprattutto da problemi, quindi, di assegnazione di budget. Infatti, la domanda sarebbe sicuramente superiore, «stimandosi che, nella sola provincia di Palermo, vi è una differenza negativa rispetto ai dati nazionali di 350 interruzioni per anno (e di 1400 nell’intera Regione), che sarebbe necessario colmare per equilibrare la differenza».
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