«Se a noi ragazzi si dice di non stare più di due ore connessi, noi ci stiamo tre solo per disobbedire». Vittoria, studentessa diciassettenne del liceo scientifico Galileo Galilei, ha le idee chiare sulla sicurezza nel web: «I divieti servono a poco, bisogna far capire i rischi». Parliamo con lei, rappresentante distituto, pochi minuti prima dell’incontro per il Safer internet day 2012, nel corso del quale 500 studenti del biennio hanno appreso qualcosa in più sui pericoli della rete. Relatore Marcello La Bella, dirigente del compartimento di polizia postale Sicilia orientale della questura di Catania, che, come auspicato dai ragazzi, non si perde in sterili moniti, ma spiega: «Attenti, dietro ai comportamenti di tutti i giorni, apparentemente innocui, si nascondo spesso reati di rilevanza penale».
Adescamenti, furti didentità, gioco dazzardo e cyber bullismo si nascondono dietro a semplici gesti, come condividere una foto su Facebook o a uno scherzo apparentemente innocente come entrare nella posta del compagno di banco. «Per i nativi digitali luso di internet è talmente normale che spesso non si rendono nemmeno conto delle conseguenze nefaste dei propri gesti, per questo ho voluto l’incontro», ci racconta la preside Gabriella Chisari, mentre sul palco La Bella pronuncia una frase ad effetto: «Su internet non si è mai anonimi». Tanti gli esempi, da quello di una tredicenne catanese che è stata vittima di grooving, cioè un adescamento online. In sostanza la ragazzina è stata abbordata da un venticinquenne campano che le chiedeva di mandargli delle foto osè, un reato noto come sexting. Oppure quello di un gruppo di ragazzi etnei che hanno inserito una bravata ripresa con il cellulare su Youtube, e poi sono stati denunciati per danneggiamento al patrimonio dello Stato. «Le indagini sono ovviamente durate pochissimo» ricorda La Bella, che chiede ai ragazzi in sala se, secondo le loro conoscenze, gli autori della bravata potevano usare dei sistemi per non farsi scoprire. Alza la mano uno studente del secondo anno: «Potevano utilizzare un proxy», afferma sicuro. «No, non sarebbe bastato – risponde il dirigente di polizia postale – Anche usando un anonimazier come Tor sarebbero stati rintracciabili in non molto tempo». Tra un coro di «ohh», stupiti, i ragazzi apprendono che anche taggare su facebook una persona non iscritta al social network, o scaricare da software peer to peer, possano essere operazioni dannose per la propria sicurezza. «Non pensavo che fosse così facile prendere dei virus pericolosi come questo Zeus che ruba i dati delle carte di credito» ci confida Damiano, 15 anni, che però non trova giusto che per la polizia «sia così facile accedere ai nostri dati, mi sembra una violazione della privacy». Sullo stesso tono Pierpaolo, 19 anni, che pubblicamente rivolge una domanda «Ma allora per proteggersi basta inserire informazioni false?». «Purtroppo no – spiega La Bella – perché su facebook, nelle norme che nessuno legge, è scritto chiaramente che è vietato fornire dati falsi. La differenza è che la polizia italiana può operare sotto copertura e creare profili falsi». Ridono gli studenti, e gli applausi sottolineano la soddisfazione degli studenti alla fine dell’incontro.
«E’ stato un bellissimo incontro – commenta Francesco, 17 anni – fatto con un linguaggio semplice e chiaro su temi che ci riguardano tutti i giorni, senza morale bigotta», mentre un altro Francesco, 17 anni come il suo omonimo, è rimasto colpito da un dato «sentire che più del 70 per cento degli italiani è inconsapevole dei rischi online e non è in grado di difendersi dalle truffe è una cosa che mi ha fatto riflettere su quanto ancora ci sia da fare per informare su questi temi, perché non credo che siamo così ignoranti da non capire i rischi». Chiara, 14 anni, ha invece imparato la lezione «starò più attenta alle persone che mi contattano online da ora in poi» commenta, confessando di non aver ben capito cosa sono i troll. «Questo incontro ha rafforzato le mie convinzioni – commenta Vittoria – Ci si è molto concentrati sui motivi tecnici, senza dare per preconcetto ciò che è giusto e sbagliato. E’ l’unico modo per far capire i problemi della sicurezza sul web».
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