Un terzo degli italiani non ha mai navigato su Internet: ad affermarlo è lAutorità per le garanzie nelle comunicazioni allinterno della relazione annuale presentata il 9 luglio alla Camera dei deputati. Un dato allarmante, reso ancora più grave da un digital divide sempre più marcato: chi ha accesso al web vi passa ormai quasi quattro ore al giorno, tra navigazione email e social network, mentre un terzo della popolazione non conosce nemmeno l’esistenza di questi mezzi.
Allarmato per la grave situazione pochi mesi fa il ventottenne giurista catanese Angelo Alù, ha lanciato una petizione: rendere internet un diritto fondamentale, con due nuovi articoli da inserire rispettivamente all’interno della Costituzione italiana, e a livello europeo all’interno del Trattato sull’Unione europea. E proprio per quest’ultimo, diritto di accesso ad Internet nella Società europea dellInformazione, sembra esserci una speranza per l’approvazione: la raccolta firme è stata recepita e, entro pochi mesi, dovrebbe essere vagliata, sia nella forma che nel merito, dalla commissione europea sulle petizioni.
«Il 10 luglio 2013 ho ricevuto una lettera ufficiale da parte del Direttore Generale dell’ufficio di presidenza del Parlamento europeo in cui mi viene comunicato che la mia proposta è stata ufficialmente iscritta nel ruolo generale delle petizioni con il protocollo numero 0755/2013», spiega Alù. Per il giovane si tratta di un passaggio «storico», perché l’iscrizione a ruolo della proposta di modifica al testo fondamentale dell’unione europea significa che «questo dovrà essere obbligatoriamente trattato. Mi auguro che riescano a farlo in 6-7 mesi», spiega Alù. Che, accanto al successo ottenuto con le istituzioni comunitarie, registra il fallimento del medesimo tentativo a livello italiano. «Prendo atto che allo stato attuale c’è una indifferenza significativa, e che le istituzioni europee sono molto più rapide a recepire le istanze dei cittadini», continua Alù.
Stando agli studi di Alù, raccolti nel sito dirittodiaccesso.eu, il tema dell’accesso alle infrastrutture digitali è molto dibattuto a livello internazionale, tanto che la proposta «è praticamente già in atto da decenni nei Paesi in regime di Common law, ovvero la maggioranza dei Paesi anglosassoni. E il successo economico di questi Paesi è direttamente proporzionale agli investimenti nel settore». Situazione ben diversa nei Paesi come l’Italia in regime di Civil law, nei quali «esistono molte norme e una giurisprudenza sempre più consistente, ma solo un intervento a livello costituzionale può garantire gli investimenti nel settori quali strutture strategiche», spiega il giovane. Che cita anche due esempi insospettabili: «Questi diritti sono già inseriti a livello costituzionale in Ecuador e in Grecia. Ma qui come sappiamo il diritto è rimasto solo sulla carta, cone le conseguenze economiche che conosciamo», conclude. Adesso, per conoscere il destino della sua petizione, servirà solo qualche mese.
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