Intermezzo, l’incontro tra la videoarte e la malattia mentale «Si prova a capire la persona per raccontarne il microcosmo»

Un uomo sulla sessantina sorride felice davanti la telecamera con i suoi nuovi occhiali da sole. Il canto degli uccelli si mescola ad urla, provenienti da una casetta bianca, immersa nella natura. Alcuni cavalli passeggiano sul terreno sabbioso. Siamo a Beetsterzwaag, in Frisia, una regione dei Paesi Bassi; o forse semplicemente a Palermo, dentro Villa Zito, al terzo appuntamento di Intermezzo, la rassegna dedicata alla video-arte curata da Agata Polizzi.

Birds singing, sandy ground è il titolo del documentario partecipativo realizzato da Domenico Mangano e Marieke Van Rooy, presentato nel tardo pomeriggio di giovedì 6 settembre. In 45 minuti di filmato la videoarte incontra la malattia mentale e la mostra allo spettatore. Varie sono le scene che colpiscono. Un ragazzo, con addosso un grosso giubbotto rosso, porta a spasso un asino, si muove goffamente sulla sedia a rotelle. Una donna con gli occhiali quadrati lavora all’uncinetto. Un uomo sulla settantina passeggia con in mano un sacchettino giallo, tutt’intorno il bosco e sembra essere proprio lì a de Wisse, nell’istituto sanitario olandese per disabili mentali dove Mangano e la moglie, Van Rooy, hanno girato il primo film della trilogia The dilution project.

Il percorso di Mangano prende avvio già alla fine degli anni Novanta con La storia di Mimmo. Nel 2000 si aggiudica il Premio Genio di Palermo, dove il protagonista del progetto è lo zio, affetto da schizofrenia. «Zio Mimmo lavorava alla Vucciria – racconta l’artista palermitano – alternava momenti di crisi a momenti gioiosi di normalità. Io avevo un rapporto speciale con lui, era mio amico. Quando mi sono trasferito nei Paesi Bassi, per caso mi sono ritrovato a Beetsterwaag, qui Mimmo diventava una comunità, un villaggio. E ho ripreso a filmare».

«A me interessa più il malato che la malattia – continua Mangano -, provo a capire la persona per poi raccontare il suo microcosmo. Con alcuni era complicatissimo avere un dialogo, altri scherzavano. La sfida era riuscire a stare in una posizione invisibile da artista, dare e ricevere». Poi racconta di Mariele, una ragazza dell’istituto, che quando ha saputo del progetto si è preparata, truccata e ha scritto un film. È così che pensava di poter realizzare uno dei suoi sogni. «Spesso la società allontana chi ha queste forme di disabilità – spiega Raffaele Bonsignore, presidente di Fondazione Sicilia – l’arte è uno strumento importante di inclusione sociale. Anche per la profondità di queste riflessioni, che partono da un’arte spesso non convenzionale, provocatoria, Fondazione Sicilia ha scelto di aprirsi ai linguaggi contemporanei». Dopo Mangano e Van Rooy, il 18 ottobre sarà la volta di Stefania Galegati Shines.

Maria Vera Genchi

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