Sono venuti a studiare Palermo da tutto il mondo: Milano, Egitto, Panama, Brasile. Per una settimana hanno vissuto fianco a fianco con i vecchi e i nuovi lavori della città, dai putiari di Ballarò alla commistione tra etnie di Moltivolti. E adesso vanno via con un bagaglio di esperienze personali, sicuramente, ma anche con una serie di proposte che Palermo potrà sfruttare. Sono gli studenti e le studentesse del master di I livello in Relational design che, tra Milano e Catania, cerca di progettare per le comunità a partire dalle proprie competenze sociali e dalla rete di relazioni.
Un master spesso itinerante che ha visto un workshop di una settimana, da domenica 13 a domenica 20, svolgersi appunto nel capoluogo siciliano. Ciò è avvenuto grazie alla collaborazione con Push, il laboratorio di design per l’innovazione sociale. «Abbiamo fatto progettazione per un servizio da fornire alla città – racconta Alessandra Tranquillo, ripartita oggi per Milano -, stiamo sviluppando un progetto sull’innovazione dei lavori tradizionali. Abbiamo cominciato con un Urban Safari, che ci ha permesso di scoprire il centro storico e di individuare casi studio reali. Tipo InsulaLab (bottega che ha trasformato passione in lavoro), Socialbike e Moltivolti: tutti hanno un impatto sulle comunità di appartenenza e hanno fatto tutta una serie di attività per sensibilizzare i quartieri dove operano».
A fare da docente ai ragazzi c’era Toti Di Dio, giovane palermitano che ha studiato in uno dei più prestigiosi atenei al mondo, il Massachusetts Institute of Techonology (Mit). Che ha portato la dozzina di allievi del master a conoscere le varie espressioni del fermento che in questo momento la città vive: dagli organizzatori di Manifesta alla famiglia Vastiddaru, titolari dell’omonima panineria in corso Vittorio Emanuele. I lavori sono stati presentati lo scorso venerdì al Pom Coworking.
«È un momento felice dal punto di vista culturale quello che sta vivendo Palermo – racconta Di Dio -. Abbiamo concentrato le attività sul contesto del centro storico, pur essendo uno dei temi della città e non il tema della città. Abbiamo cercato di dare un’immagine quanto più veritiera possibile, e cercato di individuare quali sono le politiche e i bisogni della città. I ragazzi hanno cercato una progettualità di compromessi tra gli obiettivi e le esigenze urbane. Con progetti che creano relazioni tra diversi attori che difficilmente si parlano. A Palermo come altrove ci sono professioni che si perdono e altre che nascono, perciò una delle proposte è creare opportunità in cui questi mondi si incontrano. Si tratta di idee facilmente realizzabili, anche col supporto degli stessi imprenditori locali». Il workshop si è concentrato sul lavoro del team, per consentire un lavoro armonioso. E le proposte sono venute dagli stessi partecipanti al master, una volta inseriti a pieno regime nella vita palermitana.
«L’altra idea si basa sul tentativo di indirizzare al mondo del lavoro. Tanti ragazzi vanno via da Palermo ogni anno, e allora la proposta è di fare incontrare gli studenti coi professionisti che si occupano di quel che si presume potrebbe essere la loro aspirazione: una sorta di tour del lavoro, dove si crea valore per il ragazzo che così capisce che forma può prendere il proprio sogno, e i professionisti che potrebbero avvantaggiarsi di questa richiesta trovando collaboratori e riuscendo anche a formare figure specifiche e necessarie».
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