«Ma perché, ci sono anche beni culturali a Palermo?». Non si sono ancora spente le polemiche sull’installazione dei nuovi infopoint per accogliere e orientare i turisti. Costosi, secondo alcuni poco inerenti al contesto cittadino – si tratta di grandi strutture in legno che ricordano un po’ gli chalet di montagna – e adesso anche chiusi. Le strutture ricettive volute dal Comune, infatti, da alcuni giorni non aprono i battenti, non solo nel weekend, ma neanche durante la settimana. La denuncia arriva da diversi cittadini e commercianti che vedevano nella loro costruzione una speranza per incrementare l’afflusso di turisti nella zona. Gente che, sempre secondo gli esercenti del luogo, entrerebbe in bar e negozi, ma solo per chiedere – inutilmente – l’orario di apertura del point.
«Sto preparando un’interrogazione in merito – commenta Luisa La Colla, consigliera comunale del Pd – Al di là del costo incredibile di questi tre punti, per cui sono stati spesi 103 mila euro più Iva quando il loro valore di mercato è di circa 60mila euro più iva, e del loro dubbio gusto estetico, vorremmo sapere perché non sono utilizzati». Da parte del Comune, interpellato sui motivi della chiusura, non è stato possibile ricevere una risposta. Gli infopoint sono nelle more del settore Turismo, una delega che, scorporata dall’assessorato alla Cultura, è rimasta ad interim nelle mani del sindaco, Leoluca Orlando. «Se il problema dovessero essere i soldi per pagare i dipendenti dei punti – continua La Colla – evidentemente queste strutture non andavano comprate. Poi non so neanche quale dipendente comunale accetterebbe di lavorare in un ufficio, perché di veri e propri uffici si tratta, in cui non c’è neanche un bagno».
«Ci può anche stare che un privato – aggiunge la consigliera – non possa permettersi una struttura con dei servizi igienici e allora prenda accordi con bar o attività vicine, ma il pubblico no. E quelli, ripeto, sono uffici pubblici. Mi piacerebbe sapere cosa ha da dire in merito l’amministrazione, ma temo che anche questa interrogazione, come altre presentate in passato, cada nel nulla».
A pagare maggiormente la mancanza di un punto di informazioni, tuttavia, sono i turisti. «In questa città – dice La Colla – si va avanti per spot. Facciamo come certi truffatori che vendono scatole belle impacchettate al cui interno, però, anziché esserci l’oggetto reclamizzato non c’è niente. Noi vendiamo fumo. Il turista viene per mezza giornata, scappa e non torna più. Non facciamo niente per fidelizzare la gente». E anche sul boom di turisti, in particolare provenienti dalle tanti navi da crociera che fanno scalo al porto di Palermo, la consigliera ha le idee chiare. «Il dato oggettivo non è che noi siamo diventati appetibili – conclude – ma che le navi non hanno più potuto fare tappa nei porti di Egitto e Tunisia. Avremmo dovuto sfruttare questa occasione per diventare talmente meglio di quanto c’è intorno da convincere il turista a voler ritornare. Invece non esiste nemmeno una guida cartacea o un’app che indichi i percorsi con i nostri beni culturali. Ci sono solo app che indicano i luoghi di mafia. E non ci facciamo una bella figura».
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