Le tratte da e verso gli aeroporti siciliani trafficatissime, con tanto di riconoscimento come prima compagnia low cost d’Italia ottenuto nel 2009. Poi la turbolenta trattativa per la fusione con Alitalia, data a lungo per certa e poi saltata tra le polemiche. Infine il convulso agosto del 2012, quando a ridosso di Ferragosto migliaia di passeggeri sono rimasti a terra. E circa 500 dipendenti sono finiti in cassa integrazione. Eppure la parabola discendente di Wind Jet, azienda di Antonino Pulvirenti, sarebbe iniziata molto prima. È quanto emerge dall’inchiesta Icaro che ha portato all’arresto di Pulvirenti e dell’amministratore delegato Stefano Rantuccio, accusati di bancarotta fraudolenta. Secondo gli inquirenti, Wind Jet non avrebbe dovuto operare sul mercato già nel 2005 in «ragione delle ingenti perdite accumulate» nei soli due anni di vita. La sopravvivenza sarebbe stata permessa grazie a un fitto sistema di perizie accomodanti e spostamenti di fondi dalle diverse società riconducibili al patron del Calcio Catania. Dopo la conclusione di questo nuovo capitolo giudiziario, il timore è che il concordato ottenuto tre anni fa possa naufragare.
Alla notizia del nuovo arresto dell’imprenditore – già coinvolto nell’indagine I treni del gol – «ci sono stati molti festeggiamenti. In tanti sono felici», racconta Silvia Lo Re, ex assistente di volo della compagnia. «Se deve pagare è giusto che paghi – precisa – Ma io vedo solo allontanarsi i soldi che mi spettano». Lo Re, infatti, è una delle creditrici di Wind Jet. Il debito complessivo ammonta a oltre 13 milioni di euro; quello nei confronti degli ex lavoratori è di oltre cinque milioni di euro. Si tratta delle mensilità di luglio e agosto 2012, il trattamento di fine rapporto, ferie non godute e altre detrazioni. L’azienda è stata ammessa al concordato preventivo nel maggio 2013, scongiurando così il fallimento. Ma già a seguito delle indagini sulle presunte combine calcistiche – la prima udienza preliminare si è celebrata proprio ieri – il commissario liquidatore Andrea Musumeci aveva avanzato dei dubbi sul buon fine dell’iter. Le due inchieste, infatti, secondo il legale inciderebbero sulla capacità di Pulvirenti e della Finaria spa, società capofila del gruppo imprenditoriale di Pulvirenti, di rispettare quanto stabilito. L’azienda – definita «una società ben patrimonializzata, ma con bassa capacità reddituale» – rappresentava la garanzia per riuscire a coprire le spese. Ma si trova sempre più coinvolta in quella che oggi i vertici della procura chiamano «l’operazione in materia economica più importante di sempre a Catania».
«Mi auguro che tutto questo non abbia riverberi sul concordato», afferma Ursula Raniolo, avvocata che assiste numerosi lavoratori. «Adesso dovrà esprimersi il giudice che cura la vicenda – sottolinea – Da stamattina ricevo telefonate, siamo tutti in tensione, attendiamo di capire se e quali saranno le conseguenze». Il concordato garantisce il ricevimento delle somme stabilite entro cinque anni, scadenza prevista nel 2018. Ma se si dovesse aprire la procedura di fallimento, «il meccanismo allunga i tempi. Dovrà essere nominato un altro amministratore», riflette Silvia Lo Re. «Dobbiamo capire anche se ci saranno ripercussioni sul pagamento degli ultimi mesi di cassa integrazione», aggiunge. La misura termina nel mese di giugno. Poi conclude con amarezza: «Quando c’è stata l’inchiesta sul Catania un’intera città era preoccupata per una squadra di calcio – ricorda – Come se l’unico problema fosse quello. Chissà se adesso la gente si ricorderà anche di noi».
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