INCHIESTA/ Spesa sociale in Sicilia: la benedizione’ del Tar al pastrocchio della ‘rivoluzione crocettiana’ sulla legge 328!

NON CI CREDERETE, MA IL GOVERNO REGIONALE, CON L’AVALLO DI UNA SENTENZA DEI GIUDICI AMMINISTRATIVI UN PO’ SCONVOLGENTE, HA STABILITO CHE, NELL’UTILIZZAZIONE DI QUESTI FONDI NAZIONALI CHE RIGUARDANO I SOGGETTI PIU’ DEBOLI, CI SONO COMUNI DI SERIE “A” E COMUNI DI SERIE “B”. TRE ESEMPI SU TUTTI: TAORMINA FA IL PIENO DI SOLDI, MENTRE CATANIA E GELA LECCANO LA SARDA…

(In calce il testo integrale della sentenza del Tar Sicilia)

di Amministrativum

La spesa sociale in Sicilia? Ci sono cittadini di seria “A” e cittadini di serie “B”. I primi hanno diritto a una spesa sociale di circa 33 euro per ogni abitante. I secondi molto meno: la metà e, magari un terzo (i catanesi, come vedremo, sono i più penalizzati di tutti). A optare per questi criteri un po’ ‘barocchi’ sono i ‘filosofi’ della ‘rivoluzione’ di Rosario Crocetta annidati negli uffici dell’assessorato regionale alla Famiglia. Criteri strani che, però, sono stati giudicati legittimi dal Tar Sicilia, il Tribunale amministrativo regionale, Sezione di Palermo.

Proviamo a raccontare questa storia. Precisando che ancora non è conclusa. Perché, desso, la parola passerà ai giudici del Cga, sigla che sta per Consiglio di giustizia amministrativa, in Sicilia organo di appello del Tar.

A novembre del 2000 il Parlamento nazionale approva la legge n. 328 che riforma l’impianto delle politiche sociali in Italia, prevedendo un Fondo nazionale da ripartire alle Regioni e alle Province Autonome e delle regole per favorire la programmazione integrata fra gli enti locali, onde evitare sprechi e duplicazioni. In Sicilia la legge viene recepita due anni dopo con una delibera della Giunta regionale approvata con Decreto del Presidente della Regione.

Da quel momento lo Stato ha cominciato a trasferire ogni anno le risorse del Fondo nazionale, compresa l’annualità arretrata del 2001 e la Regione siciliana, più o meno puntualmente ogni tre anni, ha redatto il Piano regionale di programmazione dei Servizi socio-sanitari ai sensi della legge nazionale 328, ripartendo le risorse in base alla popolazione residente, con un piccolo correttivo dell’1% in favore degli abitanti degli arcipelaghi siciliani.

Nel 2013 – cioè lo scorso anno – la ‘rivoluzione’ crocettiana partorisce una novità assoluta: con la programmazione 2013-2015 viene inserito, fra i criteri di riparto delle somme disponibili, il numero dei Comuni presenti in ogni distretto: il trust di cervelli in azione presso l’assessorato regionale della Famiglia stabilisce che, a questo nuovo criterio, vada assegnato il 28% delle risorse. Una scelta abnorme che ha ribaltato ogni logica di equa distribuzione.

Fatti due rapidi conti (che evidentemente il suddetto trust non ha fatto), il distretto di Adrano scopre che la sua quota è pari a circa 12 euro per abitante, mentre a Taormina è quasi il triplo, circa 33 euro per abitante!

Sarebbe bastata una semplice revoca con un nuovo decreto più equilibrato, ma poiché nell’Amministrazione regionale alcuni soggetti, piuttosto che ammettere di aver commesso un errore, preferiscono perseverare, si è reso necessario il ricorso al Tar Sicilia.

Il 22 maggio scorso il Tar Sicilia, sezione di Palermo, ha respinto il ricorso con una sentenza sconvolgente (nel senso che sconvolge le convinzioni delle migliaia di operatori degli enti locali e del Terzo Settore che, da un decennio, lavorano ai Piani Zona).

Secondo i giudici del Tar, poiché la legge nazionale n. 328, in Sicilia, non è stata recepita con un atto legislativo, la norma di riferimento per i servizi sociali rimane la legge regionale n. 22 del 1986. Per curiosità abbiamo verificato i richiami normativi della programmazione 2013-2015 di Crocetta & C.: la legge 328 è citata come riferimento dieci volte direttamente e altre 4 volte attraverso le Linee guida del 2002. Voi direte: e la fondamentale legge regionale n. 22 del 1986? Zero tituli per dirla con Mourinho…

Quindi ne deriverebbe che il Servizio 2 del Dipartimento Famiglia, che paradossalmente è denominato “Coordinamento dei distretti sociosanitari (legge n. 328/2000) – Ufficio Piano” e tutte le Giunte regionali dell’ultimo decennio erano convinti di attuare la legge 328, ma il Tar Sicilia con ‘solide’ motivazioni giuridiche ha loro dimostrato che non è così!

Vediamole, queste motivazioni giuridiche: l’art. 1, comma 7 della legge 328 recita: “Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione. Le Regioni a Statuto speciale provvedono, nell’ambito delle competenze loro attribuite, ad adeguare i propri ordinamenti… secondo quanto previsto dai rispettivi Statuti”.

Cosa dice il nostro Statuto in proposito? All’art. 17 inserisce i servizi sociali fra le materie in cui l’Assemblea regionale siciliana ‘può’ approvare leggi “entro i limiti dei principi e interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”.

Dunque non c’è alcun obbligo, da parte della Regione siciliana, di recepire, con propria legge, la legge nazionale 328: anche a voler considerare l’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla riforma del titolo V nel 2001, le Regioni hanno potestà regolamentare esclusiva (in pratica, per applicare in Sicilia la legge nazionale n. 328 basta un Decreto del presidente della Regione o dell’assessore competente). Quindi anche un Decreto Presidenziale può normare, come di fatto è avvenuto, l’organizzazione dei servizi sociali, nell’ambito di una legge quadro nazionale.

Ma la lettura della sentenza fornisce tante altre sorprese: al punto 6 sostiene che, essendo quelli della legge 328 “principi e non disposizioni” (che per quanto attiene ai criteri riparto delle risorse sono stati inseriti pari pari al paragrafo 9.4 delle linee guida di attuazione in Sicilia) ne conseguirebbe, a giudizio del Tar, che la Regione ha ampia discrezionalità in materia, quindi oltre al numero dei Comuni, potrebbe inserire ad esempio il numero dei ciclomotori circolanti o qualunque altro parametro.

Vediamo, adesso, se, effettivamente, con i criteri della ‘rivoluzione crocettiana’ vivere in un distretto che comprende tanti Comuni è più penalizzante sul piano sociale.

Il citato distretto di Taormina comprende 59 mila abitanti distribuiti in ben 22 Comuni tra cui, oltre alla “Perla ionica”, anche Letoianni, Giardini Naxos o Santa Teresa Riva, ridenti località marine gratificate dal turismo. Per non riferirci al distretto di Adrano (diretto interessato nel ricorso in questione), parliamo del distretto di Gela, in omaggio al Presidente della Regione Crocetta che ha stabilito il nuovo criterio: contiene 4 Comuni ed oltre 121 mila abitanti.

Qualcuno, sano di mente, potrebbe ragionevolmente sostenere che i cittadini di Gela e dintorni se la passano mediamente meglio di quelli di Taormina e dintorni? Evidentemente sì, se al Distretto di Taormina hanno dato 33 euro per abitante e a quello di Gela soltanto 12: un abisso vergognoso che il Tar definisce “non irrazionale o sproporzionato”.

Ma, a partire dal punto 8 la sentenza diventa un ‘crescendo rossiniano’ con i componenti del Tar che diventano esperti in politiche sociali. Al citato punto 8 scrivono che dare più soldi ai Distretti con più Comuni favorisce “maggior prossimità fra cittadino e livello esecutivo”, ignorando che in ogni distretto c’è un centro di spesa unico allocato presso il Comune capofila; al punto 9 si sostiene che il criterio contestato consente “di superare le criticità derivanti dalla presenza di più municipalità all’interno dei distretti, fattore, questo, che sovente non agevola i meccanismi di governo dell’erogazione delle prestazioni”.

A parte che, notoriamente, le criticità sono ben maggiori nella aree urbane, dove i fenomeni di devianza sociale e di emarginazione sono molto più marcati e non contrastati dalla presenza di reti familiari, come avviene invece nei piccoli centri (il Distretto di Catania, con soli 3 Comuni, è il più penalizzato con appena 11 euro per abitante), ipotizziamo che quanto sostiene il Tar sia vero: ne conseguirebbe che, per superare la lentezza della spesa dovuta alla difficoltà di mettere d’accordo tanti Comuni, la ricetta consigliata è assegnare il triplo delle risorse, in modo da ingolfare ancora di più la spesa!

Lo sgomento che deriva dalla lettura della sentenza del Tar è però largamente superato dalla consapevolezza di vivere un evento storico: dopo la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione d’ottobre del 1917 in Russia, ecco la rivoluzione 2014 del Tar Sicilia, che si salda perfettamente con la ‘rivoluzione’ crocettiana ancora in corso di definizione: se la Giunta regionale viola una legge con un provvedimento, anziché cassare il provvedimento si cassa la legge et voila, il gioco è fatto!

Sarà interessante verificare se tale ‘rivoluzione’ verrà condivisa in secondo grado anche dal Consiglio di giustizia amministrativa. Sul piano amministrativo, poi, sarà ancora più interessante capire a quale titolo il Ministero potrà continuare a trasferire in Sicilia ogni anno le risorse previste dalla legge 328, se tale legge nella nostra Isola non vale…

Di seguito il testo integrale della sentenza del Tar Sicilia

N. 01318/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00256/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 256 del 2014 proposto dal Comune di Adrano in persona del Sindaco pro tempore, in proprio e nella qualità di Comune capofila del distretto socio-sanitario n. 12 comprendente anche i Comuni di Biancavilla e Santa Maria di Licodia, rappresentato e difeso dall’Avv. Agatino Cariola, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Riccardo Rotigliano in Palermo, via Cordova n. 95;

contro

– la Giunta di Governo della Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata per legge in Palermo, via Alcide de Gasperi, n. 81;

– l’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro, in persona dell’’Assessore protempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata per legge in Palermo, via Alcide de Gasperi, n. 81;

nei confronti di

– Comune di Milazzo (anche nella qualità di Comune capofila del distretto socio sanitario n. 27);

– Comune di Sant’Agata di Militello (anche nella qualità di Comune capofila;

– Comune di Patti (anche nella qualità di Comune capofila del distretto socio-sanitario n. 30);

tutti in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– del decreto del Presidente della Regione Siciliana 11 novembre 2013 contenente le Linee guida per l’attuazione delle politiche sociali e socio sanitari 2013-2015;

– del decreto dell’Assessore della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro della Regione Siciliana n. 1935 del 25 novembre 2013;

– del decreto del Dirigente generale dell’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro della Regione Siciliana n. 2120 del 6 dicembre 2013, che ha revocato il precedente d.d.g. n. 1940;

– ove occorra, della deliberazione n. 329 del 30 settembre 2013 di approvazione delle linee guida per l’attuazione delle politiche sociali e socio sanitarie 2013-2015;

– di ogni ulteriore atto e/o provvedimento propedeutico, conseguente o comunque connesso ai menzionati atti impugnati.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria dell’Amministrazione regionale;

Vista la memoria del Comune di Adrano;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il dott. Giuseppe La Greca;

Uditi nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 l’Avv. C. Floreno, su delega dell’Avv.to A. Cariola, per la parte ricorrente; l’Avvocato dello Stato G. Pignatone per la Giunta di Governo della Regione Siciliana e per l’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1.1.- Il Comune di Adrano ha impugnato – chiedendone l’annullamento, vinte le spese – i provvedimenti della resistente Amministrazione regionale con i quali sono stati introdotti i nuovi i criteri di trasferimento agli enti locali delle risorse finanziarie previste dal Fondo nazionale delle politiche sociali di cui alla legge quadro sull’assistenza n. 328 del 2000, nella parte in cui gli stessi hanno modificato le previgenti modalità di riparto.

Ed infatti mentre sulla base del preesistente sistema le risorse del predetto Fondo nazionale venivano ripartite tra i diversi distretti socio-sanitari proporzionalmente al numero di abitanti dei Comuni che ne facevano parte, con i provvedimenti impugnati la Regione Siciliana ha disposto l’erogazione delle somme disponibili (75 milioni di euro) con un riparto modulato per il 70 per cento sulla base della popolazione residente (secondo le risultanze ISTAT del 2011) e per il 28 per cento sulla base del numero dei Comuni facenti parte di ciascun distretto socio-sanitario di riferimento (oltre che, per il residuo 2 per cento, per le isole minori e arcipelaghi come specificato nei medesimi provvedimenti).

1.2.- Con l’unico articolato motivo di censura il Comune di Adrano deduce i vizi di violazione di legge (artt. 3,68 , 18 e 19 della l. n. 328 del 2000) nonché l’eccesso di potere discrezionale sotto il profilo del difetto di istruttoria, di motivazione, illogicità e non proporzionalità delle misure adottate. Deduce, altresì, la violazione del principio di autonomia degli enti locali territoriali i quali non sarebbero stati consultati così come previsto dalla legge.

2.- Si è costituita in giudizio la resistente Amministrazione regionale che, con altrettanto articolata memoria, ha contrastato le pretese di parte ricorrente ed ha concluso per l’infondatezza del gravame nel merito.

3.- All’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014, presenti i procuratori delle parti che hanno ribadito le rispettive tesi difensive, il ricorso, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.

4.- Il Comune di Adrano, il quale agisce anche per i Comuni di Biancavilla e Santa Maria di Licodia, facenti tutti parte del distretto socio-sanitario n. 12, come s’é detto, lamenta la lesione subìta per effetto dei nuovi criteri previsti per il trasferimento finanziario del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui alla legge n. 328 del 2000. Deduce, in particolare, che la sostituzione del vecchio previgente criterio, consistente nel riparto di dette somme sulla base della popolazione residente all’interno dei distretti di riferimento con il nuovo meccanismo che prevede che il 28 per cento dell’importo debba essere erogato in ragione del numero di comuni che fanno parte di ciascun distretto, porrebbe le municipalità oggi ricorrenti in una posizione deteriore rispetto a quelle che, pur contando nell’ambito del distretto complessivamente un numero inferiore di abitanti, otterrebbero, in proiezione, un trasferimento finanziario superiore sol perché il distretto socio-sanitario di rispettiva appartenenza si compone di un numero di enti locali maggiore.

Le doglianze di parte ricorrente si attestano su una complessiva critica di ordine metodologico e di contenuto poiché, oltre al dedotto difetto di motivazione e di istruttoria, il nuovo sistema di riparto sarebbe illegittimo per le ulteriori seguenti ragioni.

Esso, infatti:

– si porrebbe in contrasto con l’intero impianto della l. n. 328 del 2000 quanto agli obblighi di concertazione e di cooperazione, peraltro strumentali alla corretta programmazione delle disponibilità da parte degli enti locali;

– non espliciterebbe le ragioni (oltreché del nuovo criterio di riparto) della percentuale del 28 per cento, correlata al numero di enti locali facenti parte del distretto;

– sarebbe stato adottato in violazione del legittimo affidamento dei Comuni destinatari i quali – secondo quanto esposto – avrebbero già programmato gli interventi socio-assistenziali per il triennio 2013-2015 confidando su una tendenziale conferma dell’ammontare di risorse erogate negli anni precedenti.

5.- Le doglianze del Comune di Adrano non sono meritevoli di condivisione.

6.- Va preliminarmente rilevato che l’assetto legislativo della Regione Siciliana in materia di servizi socio-assistenziali (come denominati dalla più risalente legislazione regionale) e in materia di servizi socio-sanitari (come denominati dalla legge quadro n. 328 del 2000) si declina in diverse disposizioni emanate – soprattutto la l. r. n. 22 del 1986 – in epoca non recente e sulla base di una filosofia di fondo del welfare regionale del tutto diversa da quella oggi conosciuta.

La programmazione, erogazione e gestione dei primi sono state disciplinate dalla legge regionale 9 maggio 1986, n.22 («Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia»); quanto ai secondi la disciplina di riferimento è data dalla l.r. n. 5 del 2009 («Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale»).

A differenza di quanto accaduto in diverse altre Regioni, la legge quadro n. 328 del 2000 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»), malgrado preveda che «Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione» e che «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, nell’àmbito delle competenze loro attribuite, ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni contenute nella presente legge, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti» non ha mai costituito oggetto di una disciplina legislativa organica tesa a rivisitare -quanto ai servizi socio-assistenziali- l’assetto dato, in ambito regionale, dalla surrichiamata l.r. n. 22 del 1986.

La perentorietà di tale dato storico è mitigata soltanto dalla presenza, in seno alla legislazione regionale successiva all’anno 2000, di specifici riferimenti o rinvii alla legge quadro statale, ciò che è avvenuto, ad esempio, con specifiche disposizioni quali l’art. 64, comma 10, della l.r. n. 4 del 2003 ovvero con l’art. 97 della l.r. n. 2 del 2002.

Ciò che preme rilevare è che la legge quadro statale n. 328 del 2000 non ha mai trovato attuazione in Sicilia attraverso uno specifico atto legislativo e che, tuttavia, della stessa è stata data applicazione mediante provvedimenti amministrativi perlopiù finalizzati all’utilizzo delle risorse previste dal Fondo nazionale delle politiche sociali di cui all’art. 20 della medesima legge.

In tale contesto, l’atto con il quale la Regione Siciliana ha previsto i nuovi censurati criteri di riparto del Fondo si inserisce in un impianto ordinamentale in cui non si rinvengono specifiche disposizioni legislative regionali di attuazione della legge quadro statale, con un potere in capo all’Amministrazione che, sotto tale profilo, poiché espressione di principi e non di disposizioni, risulta essere connotato, obtorto collo, da ampia discrezionalità.

7.- Ciò precisato, va preliminarmente trattata, poiché logicamente prioritaria, la censura con la quale si contesta la mancata attivazione della concertazione con gli enti locali e gli altri attori istituzionali prevista dalla legge quadro sull’assistenza. Dal carteggio versato agli atti del giudizio dall’Avvocatura dello Stato si evince che il competente Assessorato regionale ha preventivamente informato i soggetti di riferimento – e, segnatamente, per gli enti locali, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – ciò che ha soddisfatto gli obblighi procedimentali previsti dalla legge, sicché la condotta dell’Amministrazione regionale risulta essere rispettosa del canone di leale cooperazione che deve governare le relazioni interistituzionali Regione- Enti locali, così come delineate nell’ordinamento regionale delle autonomie locali (art. 32 l.r. n. 10 del 2000) nonché con gli obblighi concertativi voluti dalla l. n. 328 del 2000.

Sul punto, nessuno specifico obbligo di interpellare singolarmente tutti i singoli comuni potenzialmente destinatari dei nuovi trasferimenti incombeva sull’Amministrazione regionale. D’altronde, predicare la necessità di una concertazione con ciascun comune singolarmente inteso – e non, come avvenuto, attraverso la rappresentanza associativa – significherebbe privilegiare una lettura delle norme di riferimento volta, più che a soddisfare esigenze di collaborazione interistituzionale, ad aggravare il processo di programmazione del quale l’efficacia, efficienza ed economicità costituiscono indefettibili elementi (si veda, sul punto, l’art. 1, l. n. 328 del 2000).

8.- Il Comune di Adrano censura il difetto di motivazione del provvedimento impugnato. La doglianza non è meritevole di condivisione.

E’ vero che il provvedimento impugnato non rechi individuandole puntualmente le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a rivedere il sistema dei trasferimenti finanziari previsti dalla legge n. 328 del 2000 e gli specifici criteri, sicché non si rinviene una motivazione intesa come «testo». Ad un tempo va tuttavia rilevato che dal provvedimento impugnato è evicibile una motivazione quale «significato», ossia una enucleazione delle ragioni sottese al mutamento dei criteri di riparto che nel caso di specie, come di seguito si vedrà, è correlata alle finalità di miglioramento del sistema di erogazione delle risorse cui tendono le linee-guida per l’attuazione delle politiche sociali e socio-sanitarie 2013-2015 (approvate con decreto presidenziale 11 novembre 2013).

Emerge che le predette linee guida puntano a perfezionare il sistema di welfare locale che deve basarsi «sull’ottimizzazione delle risorse disponibili e sulla realizzazione di servizi/interventi che, nell’attuale momento storico, mirino a soddisfare prioritariamente i bisogni essenziali».

Dalle stesse si evince la necessità di un nuovo complessivo modello organizzativo che favorisca maggior prossimità tra cittadino e livello gestionale alla quale è strumentale il contestato criterio del numero dei Comuni presenti all’interno di ciascun distretto.

Ne discende l’infondatezza della censura.

9.- I criteri prescelti dall’Amministrazione non sono irragionevoli né ledono la funzione programmatoria dei singoli distretti e dei Comuni che ne fanno parte.

Se è vero che i nuovi criteri previsti per il trasferimento delle risorse per i servizi di cui alla l. n. 328 del 2000 abbiano comportato una riduzione del consolidato storico dei trasferimenti finanziari in capo ai Comuni facenti parte del distretto 12 (al quale appartiene il Comune di Adrano assieme ad altri due comuni), è pur vero che a dar luogo alla rivisitazione dei motivi è stata l’esigenza di correggere talune incongruenze registratesi nelle annualità precedenti, ciò che emerge da una compiuta e completa lettura delle linee-guida.

In tal senso, la previsione secondo la quale il trasferimento debba essere erogato anche considerando il numero dei comuni che compongono il distretto socio-sanitario risponde alla specifica esigenza – ben evidenziata nella memoria dell’Avvocatura dello Stato – di superare le criticità derivanti dalla presenza di più municipalità all’interno dei distretti, fattore, questo, che sovente non agevola i meccanismi di governo dell’erogazione delle prestazioni (al cui miglioramento le linee-guida espressamente tendono), con refluenze sul livello di appropriatezza degli interventi, di efficienza ed economicità dei servizi.

In ragione di tale assetto, nei casi in cui il trasferimento regionale conseguente ai nuovi criteri si presenti in quantità ridotta rispetto a quello consolidatosi nel tempo in forza del vecchio parametro della popolazione residente, esso non si traduce in una disparità di trattamento stante la rilevanza della variabile data dal numero dei comuni la quale giustifica, per le ragioni sopra esposte, una diversa attribuzione di risorse a parità di abitanti (anche alla luce della creazione delle aree omogenee distrettuali).

In ultima analisi, la nuova impostazione consente anche alle realtà territoriali costituite da Comuni di piccola e media dimensione, di poter compensare la minore densità demografica con un indicatore che, comunque, tiene conto delle notorie criticità finanziarie degli enti locali e dell’offerta di servizi che, anche nelle piccole realtà, va garantita (cfr., in tal senso, la circolare dell’Assessorato regionale della famiglia, del lavoro e delle politiche sociali n. 6 del 2013).

10.- Insussistente è anche la dedotta lesione dell’affidamento che i Comuni avrebbero riposto su una potenziale assegnazione finanziaria, per il triennio di riferimento, sostanzialmente corrispondente a quella degli esercizi finanziari precedenti.

In procedimenti quale quello per cui è causa non è predicabile un consolidamento dei trasferimenti finanziari poiché gli stessi sono necessariamente legati alle scelte statali di riparto tra le Regioni (con conseguente rivisitazione delle assegnazioni agli enti locali da parte delle Regioni).

A ciò va aggiunto che non risulta che i Comuni ricorrenti od il relativo distretto di appartenenza abbiano approvato il piano di zona o altri strumenti di programmazione finanziaria in una data anteriore alla comunicazione del trasferimento finanziario per il periodo di riferimento (2013-2015), sicché. ammesso che, in ipotesi, una siffatta doglianza possa trovare – ciò che non è – condivisione deve obiettarsi che, in assenza di prova dell’avvenuta specifica programmazione per il periodo di riferimento, non può darsi fondatamente ingresso ad una siffatta doglianza.

11.- Quanto, da ultimo, alla stabilita percentuale del 28 per cento – fermi restando i limiti di cognizione del Giudice amministrativo in relazione ad una determinazione che è espressione di discrezionalità tecnica – essa non si disvela in sé irrazionale o sproporzionata, fermo restando che si tratta comunque di parametro da integrarsi con quello della popolazione sicché la sua conformità a parametri di ragionevolezza non è, in sé, revocabile in dubbio.

12.- Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato.

13.- Sussistono le gravi ed eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti costituite avuto riguardo alla soggettività pubblica delle stesse; non é luogo a provvedere nei confronti delle altre parti pubbliche poiché non costituite in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione terza, rigetta il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese tra le parti costituite; nulla per le spese nei confronti delle parti non costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

Nicolo’ Monteleone, Presidente

Nicola Maisano, Consigliere

Giuseppe La Greca, Primo Referendario, Estensore

 

 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

Redazione

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