Incendi, nel 2016 734 roghi ma soltanto 14 denunce Criminologo: «Casi imputabili ai piromani sono pochi»

Quattordici denunce a fronte di 735 roghi. Mentre la Sicilia sembra essere tornata con incredibile tempismo nella morsa del fuoco, è questo il dato da cui partire per ragionare sulle misure di contrasto al fenomeno degli incendi causati dalla mano dell’uomo. La cifra – che comprende sia i casi dolosi che quelli colposi – è relativa all’anno scorso ed è contenuta nel nuovo rapporto Ecomafia, presentato ieri da Legambiente

L’Isola, nel 2016, è stata la seconda regione d’Italia per numero di roghi, dietro alla Campania, con il 15,9 per cento di incendi. Una quasi leadership che contrasta con il numero di procedimenti avviati per i responsabili: in questa classifica, infatti, la Sicilia rimane dietro a Sardegna, Toscana, Liguria, Calabria, Lazio e Piemonte e pari merito con la Basilicata, dove però le 14 denunce hanno un peso percentuale maggiore considerato che il numero di incendi è sette volte inferiore a quello siciliano. 

Così, se nei giorni scorsi non sono mancate le critiche rivolte alle istituzioni – Ars e Regione in testa – per i ritardi nello stanziamento dei fondi per pianificare la campagna antincendi in tempi utili per evitare le emergenze, è altrettanto necessario ragionare sulle motivazioni che possono esserci dietro all’innesco degli incendi. Spesso, infatti, si fa riferimento ai responsabili con il termine piromane, ma il rischio è quello di generalizzare un fenomeno che invece ha tante facce.

«Con questa parola intendiamo una particolare sottocategoria degli incendiari – spiega Marco Cannavicci, psichiatra e criminologo che per anni ha collaborato con il Corpo forestale dello Stato -. Si tratta, infatti, di persone che agiscono in presenza di un disturbo psicopatologico, che ha poco a che vedere con interessi diversi dall’attrazione e dall’eccitazione fisica che perseguono i piromani». L’esperto sottolinea inoltre come sia possibile tracciare un profilo dell’autore di un incendio partendo dalla modalità con cui lo stesso viene appiccato. «Gli studi ci dicono che il piromane tende a essere una persona ingenua, con tratti antisociali, pochi amici e bassa dimestichezza con il sesso – continua Cannavicci -. Inoltre sono persone che tendono ad avere un basso livello di scolarizzazione e questo comporta che per accendere i fuochi utilizzino metodi semplici». 

Ciò porta di conseguenza a pensare che, nei casi in cui gli incendi sembrano avere una regia complessa, i responsabili vadano cercati in altre figure. «Un piromane difficilmente conosce gli inneschi ritardati – sottolinea lo psichiatra -. Ma c’è anche dell’altro: il desiderio del fuoco li porta ad assistere allo spettacolo e a volte addirittura a chiamare in prima persona i vigili del fuoco per poi magari collaborare allo spegnimento del rogo». Un altro tratto che caratterizza il piromane è il suo essere indipendente dalla stagionalità. «Un piromane lo è sempre, non solo in estate – assicura Cannavicci -. La bella stagione può agevolare la propagazione delle fiamme e dare più opportunità, ma i piromani, ai quali è riconducibile al massimo il 20 per cento degli incendi dolosi, agiscono anche d’inverno, magari bruciando rifiuti».

«I motivi per appiccare i roghi possono essere molteplici – afferma Ciro Troiano, responsabile dell’osservatorio nazionale zoomafie della Lega antivivisezione -. Da chi pensa di pulire i terreni o rigenerare i campi per il pascolo, e poi però non riesce a controllare il fuoco, a coloro che possono utilizzare gli incendi per mandare segnali anche simbolici. E mi riferisco alla criminalità organizzata, per la quale il possesso del territorio è qualcosa che va oltre l’interesse economico». Ciò richiama alla mente i recenti provvedimenti disposti dalle prefetture che hanno dato il la alla revoca delle concessioni demaniali a soggetti ritenuti vicini alle cosche, con la mafia interessata a speculare nel settore dei fondi comunitari per l’agricoltura. «Non è così inverosimile pensare a casi di ritorsioni di questo tipo, un po’ come accade con gli incendi dei beni confiscati».

Chi invece sente di escludere totalmente un’ipotesi che spesso circola tra l’opinione pubblica, ovvero un potenziale interesse ad alimentare l’emergenza da parte di qualcuno tra gli operai antincendio, è Gaetano Guarino, responsabile del terzo distretto forestale. «Parlare di operai che appiccano gli incendi per non perdere il lavoro è una fesseria che non ha senso di esistere – ribatte -. La legge dice che in un terreno incendiato non si può fare neanche attività di rimboschimento per almeno cinque anni. Un operaio quindi andrebbe contro i propri interessi, oltre che contro la legge, visto che si ridurrebbero le aree boschive da controllare». Da parte del responsabile, poi, un invito ad andare a fondo nelle indagini. «Vorrei che la magistratura approfondisse questo tema che danneggia la Sicilia da anni, cercando – conclude – tra chi può avere interessi economici a fare andare a fuoco la nostra terra». 

Simone Olivelli

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