Incendio, danneggiamento, truffa e procurato allarme sociale. Sono le accuse che la Procura di Messina rivolge per gli incendi di Canneto di Caronia a Giuseppe Pezzino, 26 anni, e al padre Antonio, 55. Per entrambi i pubblici ministeri hanno chiesto il rinvio a giudizio.
La svolta in una vicenda considerata per anni misteriosa, senza ragionevoli spiegazioni ai roghi che divampavano nel paese, è arrivata lo scorso marzo, quando i carabinieri hanno arresto il più giovane dei Pezzino e consegnato un avviso di garanzia per il padre. Quest’ultimo è titolare di un’agenzia di assicurazioni e presidente del comitato locale dei residenti che chiedevano aiuti economici.
Le accuse contestate ai due fanno riferimento a un periodo circoscritto, che va dal 14 luglio all’8 ottobre del 2014. In quest’arco di tempi gli investigatori hanno monitorato, grazie alle telecamere nascoste nella zona interessata in passato dagli incendi, una quarantina di episodi in cui, direttamente o indirettamente, sarebbe stato coinvolto il 26enne. Come nei fatti del 20 luglio del 2014, quando le fiamme divamparono proprio nella mansarda della casa dei Pezzino. Secondo gli inquirenti sarebbe stato il giovane a bruciare cartoni, stracci e vestiti su due scrivanie di legno. Le fiamme si sarebbero poi propagate fino all’autoclave, rischiando di estendersi alla vicina ferrovia e e ad altre abitazioni.
Padre e figlio avrebbero voluto far credere che i roghi fossero in continuità con gli episodi registrati nel 2004, rimasti estranei a questa indagine. Così facendo, speravano di indurre la Regione Siciliana a pagare somme di denaro come indennizzo o contributi di assistenza economica o risarcimenti danni, nonché a ottenere nuove abitazioni a seguito della possibile delocalizzazione. Forme di risarcimento che, in quanto presidente del comitato dei residenti, Pezzino avrebbe potuto in qualche modo gestire.
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