I muri d’Europa. Emigrazione per il canale di Sicilia.
Questo il titolo della prolusione tenuta da Vincenzo Consolo, scrittore e saggista, alla giornata inaugurale dell’anno accademico 2007/2008 della facoltà di Lingue, venerdì 25 gennaio.
L’evento – che ha richiamato l’attenzione di molti studenti, nonostante l’infelicità del giorno prescelto (si sa che il venerdì è giorno d’emigrazione studentesca per le strade di casa), nonché di gente di Ibla, accorsa alla chiesa di Santa Teresa per assistere alla kermesse di autorità, universitarie e non, intervenute per presenziare all’inaugurazione – prevedeva, nel programma d’apertura, un saluto ai presenti da parte del Prorettore Antonio Pioletti continuando con il Preside della Facoltà Nunzio Famoso, il Presidente della Provincia Franco Antoci e Giuseppe Drago, Presidente del Consorzio Universitario.
Dopo un breve cenno ai grandi passi compiuti dal nostro piccolo centro universitario ibleo nel corso di questi nove anni, la celebrazione della giornata inaugurale è passata nelle mani di Consolo, che ci ha voluto donare, in modo discreto, senza far rumore, due extraits, rispettivamente dalle Troiane di Euripide e dall’Eneide di Virgilio, deliziando la nostra giornata già illuminata da uno splendido sole d’inverno. Dedicando i versi sopracitati agli étrangers d’ogni luogo, Vincenzo Consolo comincia a spiegarci come l’emigrazione sia la storia del mondo, storia di ogni popolo, storia che si ripete, che non passa mai di moda.
Ripercorrendo con gli occhi della mente il cammino di Achei, Arabi, Normanni e, più avanti nella linea del tempo, Italiani, l’illustre scrittore mostra come il nostro sia un paese di passaggio, la Sicilia in particolare, terra di emigranti, emigrati ed immigrati, questi ultimi protagonisti assoluti delle cronache di settimanali e quotidiani;
aggiunge che la storia ci insegna a guardare l’emigrazione non solo – e l’età contemporanea ci ha confuso le idee su questo – come movimento a senso unico da nord a sud, ma anche verso quel mondo la cui gente è nostra consanguinea: il Maghreb, che ha sementato, nell’antichità, arte, commercio, agricoltura, segnando il nostro DNA, segno impresso da secoli e che continua e continuerà ad esserci fino alla fine dei tempi.
E dopo tutto questo, attoniti assistiamo alla dissoluzione del nostro silenzioso legame per mano di qualche improponibile senatore, che erigendo muri di leggi, decreti e cavilli burocratici, prima sputa in faccia a noi perché miscellanea di popoli che secondo qualche stupida e malriuscita equazione è indegna del benché minimo rispetto, e dopo vorrebbe pure convincerci a sputare alle nostre spalle! Come se la storia – che torna sempre carica di crudeli verità – non dovesse convincerci – più di ogni politico, più di ogni bocca parlante in terra – che criminalizzare, condannare, espellere il diverso porta sofferenza, tragedia, miseria.
Inaridisce la nostra terra, e senza di essa non siamo nessuno. Perdiamo la nostra identità, perdiamo noi stessi.
Finita la prolusione, tanta è la voglia di approfondire l’argomento, poco il tempo a nostra disposizione. Ci avviciniamo allo scrittore, timidamente, chiedendogli se avesse potuto dedicarci qualche minuto del suo tempo. Comincia l’intervista.
D: La Sicilia da terra di emigranti, durante la crisi (quando si fuggiva verso l’America, nei primi anno del ‘ 900), a terra di emigrati, che accoglie persone per lo più provenienti dai paesi più poveri e disperati. Domandiamo al prof. Consolo che cosa, secondo lui, è cambiato da quando ha scritto il racconto Memoriale di Basilio Archita ad oggi e quali mutazioni danno oggi a questa terra una nuova immagine?
R: In Sicilia, è avvenuta una mutazione antropologica e linguistica, perchè essa si lascia mescolare dalle diverse culture che la arricchiscono e che l’hanno arricchita per secoli. Ciò che non è mai cambiato sono il senso di accoglienza e disponibiltà e la mancanza, invece, d’indifferenza ed aggressività nei confronti di uno “straniero”, che magari chiede un passaggio o un lavoro. Ed è questa forse la differenza profonda che squarcia l’Italia in due: ossia il crescere, al nord, di un senso di rifiuto e di xenofobia che chiude, invece di aprire, le frontiere dell’accoglienza dell’altro e ci separa come due mondi, il nord ed il sud, che però sono uno solo.
D: L’identità siciliana è crogiuolo di popoli. Possiamo, citando un altro siciliano illustre, utilizzare la Sicilia come metafora di una nuova identità interculturale?
R: Qualcosa è cambiato. La metafora di una Sicilia quale “identità interculturale” si affaccia verso un individualismo nato dalla mancanza di sicurezza sociale che va sempre più dilagando.
D: Dobbiamo forse preoccuparci della discesa della xenofobia verso sud e di una possibile ghettizzazione dello straniero?
R: Si direbbe che ancora non è arrivata fin qui. Ci sono dei riscontri positivi in Sicilia: pensiamo a Mazara del Vallo, Trapani o Palermo, dove l’integrazione è ben visibile. Esempi di collaborazione di donne siciliane ed arabe fanno sperare che la nostra terra sia tollerante e propensa alla multiculturalità.
Continuiamo allora a sperare che la nostra terra possa essere immune da quel virus che tanto affligge parte dell’Italia e auguriamoci che esso, col nostro esempio, possa essere debellato. Per sempre.
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