«Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione». Il cartellone con questa frase di Victor Hugo è appoggiato su una panchina. Accanto c’è Lucia Molè, 14 anni, studentessa del IV ginnasio (il primo anno) del liceo classico Umberto I di Ragusa. È da quella postazione che ha scelto di seguire le lezioni online, come previsto dalla didattica a distanza adottata come misura per contenere la diffusione del nuovo coronavirus.
Mascherina correttamente indossata, sulla panchina accanto a lei c’è uno zaino colorato con dentro i libri, sulle gambe ha appoggiato il computer portatile (dal quale segue le lezioni utilizzando il cellulare per collegarsi a internet) con la scritta «Presente al 100%». Così la 14enne, questa mattina, si è sistemata davanti all’istituto del capoluogo ibleo per manifestare il proprio disappunto nei confronti della didattica a distanza. Prima di lei Anita, Maia e Lisa (tre giovani studentesse di Torino, in Piemonte) erano diventate il simbolo della protesta contro la dad. Senza temere freddo e critiche, da oltre venti giorni, seguono le lezioni sedute a terra con i pc o i tablet sulle gambe davanti alle loro scuole. Per fare sentire ancora di più la loro voce le tre studentesse, con tanto di tavolini da pic-nic e coperte, hanno manifestato anche davanti al palazzo della Regione per chiedere di potere tornare in classe a seguire le lezioni in presenza.
«Ritengo che la scuola sia essenziale in presenza – ha detto Lucia – Non siamo fatti solo di un corpo ma anche di un’anima. A distanza l’anima senza corpo è un fantasma e il corpo senza anima non prova emozioni. La socializzazione non è più la stessa. La scuola – ha proseguito Lucia – non è solo istruzione, ci fa crescere come persone, ci fa maturare, ci fa confrontare». Tutte cose difficili, se non impossibili, con la didattica a distanza. «So che non posso cambiare niente – ha ammesso la giovane studentessa – ma voglio fare capire che ci sono molti studenti che, come me, vogliono tornare in classe».
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