In Sicilia difficile garantire il diritto all’aborto «Per molti non ideologia, ma lavoro di serie B»

«Ma come? Hai scelto di specializzarti in ginecologia e ostetricia per dare la vita e, invece, adesso la togli?». È questa la domanda che si sentono fare Federica Lauria e Mariaclara Leone, le uniche due specializzande del secondo anno dell’ospedale Cervello di Palermo che hanno scelto di essere «custodi della legge 194», la norma per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza, entrata in vigore in Italia a partire dal 22 maggio del 1978, tramite la quale è stato decriminalizzato l’aborto. Abortire non è più reato da quasi 40 anni, anche se molti continuano a considerarla una colpa. Grave quando questo atteggiamento pregiudica l’attuazione della legge. L’ultimo report disponibile con i dati forniti dal ministero della Salute (ogni anno, redige una relazione al Parlamento sull’applicazione della 194), fotografa la situazione all’ottobre del 2016: in Sicilia l’86,1 per cento dei ginecologi dichiara di essere obiettore di coscienza

«In realtà, non tutti quelli che dichiarano di esserlo lo sono davvero», dichiara a MeridioNews il medico del Cervello Francesco Gentile, ginecologo non obiettore che insieme a un solo altro collega si occupa delle interruzioni di gravidanza nel presidio ospedaliero palermitano. «La verità è che i futuri medici non hanno interesse ad approfondire questo aspetto della ginecologia, preferendone altri. Il problema – afferma Gentile – credo sia dovuto soprattutto alla mancanza di sensibilizzazione delle nuove generazioni. Nel corso di quest’anno, su 13 specializzandi solo due sono le mosche bianche». Non c’è solo questo però dietro le difficoltà per una piena applicazione della legge 194. «Durante i corsi, i professori si sono solo limitati a chiederci se fra noi ci fosse qualcuno non obiettore. Solo in due – racconta Leone – abbiamo alzato la mano. Io credo che l’astensione dei miei colleghi non sia legata solo una questione strettamente ideologica, religiosa, etica o morale ma anzi, più che altro, sono convinta che a spaventare siano l’impegno che richiede e un certo fattore di rischio». Dietro la dichiarazione di obiezione di coscienza si nasconde, dunque, anche altro. «Per molti – conferma Lauria – quello che facciamo noi è un lavoro di serie B».

Nessuna proposta specifica da parte dei professori durante la scuola di specializzazione, semplicemente qualche accenno all’interno delle lezioni di ginecologia. «Ci hanno spiegato come si mette in pratica la procedura e i termini temporali. Per il resto siamo state noi a interessarci – precisa Lauria – innanzitutto spinte dalla motivazione di garantire a ogni donna un diritto previsto dalla legge». All’ospedale Cervello di Palermo ogni settimana si effettuano in media sei interruzioni con metodo farmacologico e sei con metodo chirurgico. «A questi si aggiungono gli aborti terapeutici. Arrivate in ambulatorio – dicono le specializzande – ci siamo rese conto subito che il servizio aveva bisogno di essere incrementato, perché i due strutturati da soli non erano in grado di far fronte a tutte le richieste che arrivavano. È per questo che spesso frequentiamo l’ambulatorio anche fuori dall’orario ordinario».

Le due specializzande raccontano di dover fare i conti anche con gli altri colleghi che si dichiarano obiettori di coscienza e che qualche volta provano a solleticare il loro senso di colpa. «Come ci si sente a sentire un cuore di un feto che prima batte e poi, improvvisamente, cessa di farlo?», chiedono. «Più che altro – risponde Lauria – io vorrei che capissero come ci si sente quando ci si trova davanti a donne violentate, alcune anche minorenni o straniere appena arrivate in Italia, o ancora davanti a donne con malattie gravi come il cancro che devono scegliere fra portare avanti una gravidanza, magari anche desiderata, e cominciare un ciclo di chemioterapia, o davanti a donne che hanno la consapevolezza di vivere in una condizione economica che non garantirebbe la sussistenza al nascituro. Una cosa è certa – conclude – nessuna donna arriva qui a cuor leggero e, anche se fosse, io non le giudicherei. Sono fiera della scelta che ho fatto, perché mi chiedo cosa farebbero queste donne se qui non ci fossimo noi a garantire il rispetto di un diritto ottenuto con fatica». 

Marta Silvestre

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