In galera ingiustamente per la strage di Alcamo Marina chiede 69 mln allo Stato

Oggi è un cinquantenne con alle spalle una vita burrascosa, visto che ha passato 21 anni e 2 mesi in carcere. Con una particolarità: è innocente. Anche se la sua estraneità ai fatti gli è stata riconosciuta dopo una serie rocambolesca di processi. Ora Giuseppe Gulotta è un uomo libero. E, da uomo libero, chiede allo Stato italiano un risarcimento record: 69 milioni di euro!

Una storia incredibile, quella di Giuseppe Gulotta (nella foto a sinistra, tratta da leggo.it), siciliano di Alcamo, che prima di finire stritolato in quest’avventura kafkiana faceva il muratore. Una vicenda che si snoda in Sicilia, ad Alcamo Marina, una frazione di Alcamo già allora meta del turismo estivo dei trapanasi, ma anche di tanti palermitani.

La notte del 27 gennaio del 1976, nella stazione di Carabinieri di Alcamo Marina, due militari dell’Arma vengono uccisi. Sono il diciannovenne Carmine Apuzzo e l’appuntato Salvatore Falcetta. Gli assassini, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, entrano nella caserma nella notte forzando la porta con la fiamma ossidrica e crivellano di colpi i due carabinieri di guardia sorpresi nel sonno.

Ad accorgersi della avvenuta strage sono i poliziotti che scortano l’allora segretario nazionale del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante. La mattina dopo la strage, infatti, passando dalla strada statale alle sette del mattino, costeggiando la caserma dei Carabinieri, i poliziotti si accorgono che qualcosa non va e danno l’allarme. Da qui la scoperta di una strage che, per tanti anni, resterà avvolta nel mistero.

Gli anni ’70 del secolo scorso, nel nostro Paese, sono contrassegnati dalla presenza del terrorismo di matrice rossa (comunista) e nera (fascista). Le prime ipotesi degli investigatori si orientano sul terrorismo rosso. Questo perché, in questa storia, più ricca di ombre che di luci, spuntano alcune rivendicazioni di sigle extraparlamentari di sinistra. Anche se le Brigate rosse smentiscono il coinvolgimento in una strage nella quale non si esclude la presenza della mafia e, forse, di qualcosa di ‘più’ della mafia: Gladio. Ma questo, come vedremo, verrà fuori molti anni dopo.

A far pensare al possibile coinvolgimento di Cosa nostra non c’è solo lo scenario (già allora la provincia di Trapani era nota agli inquirenti per la pesante presenza mafiosa), ma anche il fatto che, un anno prima, sempre nella stessa zona, erano stati uccisi, a un mese di distanza l’uno dall’altro, l’assessore ai lavori pubblici di Alcamo, Francesco Paolo Guarrasi, esponente della Dc, e il consigliere comunale, Antonio Piscitello.

Per la cronaca, sulla strage di Alcamo Marina indaga anche l’allora capitano dei Carabinieri, Giuseppe Russo, che verrà ucciso a Ficuzza, dalla mafia, il 20 agosto del 1977.

Dopo lunghe indagini alla sbarra finiscono tre giovani alcamesi, Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo (che verrà arrestato solo nel 1995), Vincenzo Ferrantelli, e un carrozziere di Partitico, Giuseppe Vesco. A confessare la responsabilità della strage è proprio quest’ultimo, che verrà trovato misteriosamente impiccato in carcere pochi mesi dopo. Piccolo particolare: Vesco aveva una sola mano. Suicidio o omicidio?

Il primo capitolo di questa lunga e tormentata storia giudiziaria lo scrive la Corte d’Assise di Trapani che assolve Giuseppe Gulotta.

La Corte d’Assise di Palermo ribalta il verdetto e lo condanna all’ergastolo. I legali ricorrono in Cassazione. La condanna viene annullata e gli atti trasferiti a Palermo, ma ad un’altra sezione.

Per Gulotta arriva un nuovo processo e nuova condanna, sempre all’ergastolo. Giudizio confermato successivamente dalle Corti d’Appello dei Tribunali di Caltanissetta e di Catania, investite da altri rinvii trasmessi dalla Cassazione.

Nel 1990 la sentenza di condanna all’eragostolo per Giuseppe Gulotta diventa definitiva.

Il muratore di Alcamo non si arrende. E non si arrendono i suoi avvocati difensori che riescono a trovare nuovi elementi per far riaprire il caso.

In verità, una prima istanza di revisione del processo, presentata al Tribunale di Messina, viene annullata. I legali si rivolgono ancora una volta alla Cassazione che accoglie la revisione inviando gli atti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Al processo i giudici reggini raccolgono nuove testimonianze. Tra queste, quella di un ex brigadiere, all’epoca in servizio al reparto antiterroristico di Napoli. Si tratta dell’ex brigadiere, Renato Olino, che ad un periodico trapanese racconta che le confessioni di Giuseppe Vesco e degli altri arrestati sarebbero state estorte con la tortura.

Il brigadiere Olino dichiara ai giudici del Tribunale di Trapani che quei ragazzi con l’eccidio non c’entravano proprio nulla. E che le loro confessioni erano estorte con violenze terribili.

Gl inquirenti vanno a fondo in una vicenda che presenta colpi di scena a ripetizione. Analizzano alcune intercettazioni telefoniche a carico dei figli di uno dei carabinieri che aveva condotto le indagini sulla strage di Alcamo Marina. Da queste intercettazioni emerge che gli stessi militari, per far risultare come non veri i racconti sulle torture, avrebbero cambiato l’arredamento della stanza di una caserma dove gli arrestati erano stati sottoposti agli interrogatori. (a destra, foto tratta da casapoundriva.wordpress.com)

Di questa vicenda, sempre per la cronaca, si è occupato, nel 2007, “Blu notte”, la trasmissione Rai di Carlo Lucarelli. Secondo la ricostruzione di Lucarelli, la strage di Alcamo Marina rientrerebbe nel quadro della cosiddetta “Strategia della tensione” degli anni ’70. Nel caso di questo doppio omicidio si ipotizzerebbe un patto tra la mafia e leversione di destra.

Il 22 luglio 2010, dopo 22 anni e due mesi di detenzione, Gulotta lascia il carcere. Gli viene concessa la libertà vigilata. Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo restano latitanti in Brasile.

In questa storia che resta ancora, per certi versi, un giallo irrisolto, entra in scena anche un pentito di mafia: Vincenzo Calcara. Che al processo di Reggio Calabria ha parlato di un coinvolgimento della mafia in questa strage. Calcara collega i fatti di Alcamo Marina al ruolo esercitato in Sicilia da Gladio, la struttura militare segreta che aveva basi anche a Trapani.

Da quanto è emerso, i due carabinieri trucidati potrebbero essere stati eliminati per avere fermato un furgone carico di armi.

Già, il traffico di armi che negli anni ‘70 e ’80 sarebbe stato molto attivo nel Mediterraneo. Con basi operative lungo la costa che, da Trapani, avviva fino Sciacca, passando per Mazara del Vallo. (a sinistra, foto tratta da casarrubea.wordpress.)

Quella del traffico di armi è la stessa pista seguita dal sostituto procuratore, Carlo Palermo, che, da Trento, nel 1985, aveva ottenuto il trasferimento al Tribunale di Trapani per seguire il percorso delle armi.

La mattina del 2 aprile del 1985, Carlo Palermo avrebbe dovuto essere eliminato nella strage di Pizzolungo, sempre nel Trapanese, da un’autobomba. Ma qualche attimo prima dell’esplosione la Fiat 132 dove viaggia il magistrato viene superata da una Volkswagen Scirocco guidata da Barbara Rizzo, che accompagna a scuola i figli Salvatore e Giuseppe Asta, gemelli di 6 anni.

L’auto con a bordo la donna e i due bambini si viene a trovare tra l’autobomba e la Fiat 132. L’autobomba viene fatta esplodere lo stesso. Chi aziona il telecomando di morte è convinto che sarebbe saltata in aria anche l’auto dove viaggia il pm, Carlo Palermo. Che invece rimane solo ferito, mentre la donna ei due bambini vengono uccisi.

Sempre per la cronaca, il traffico di armi è una delle piste che potrebbe fare da sfondo al delitto di Mauro   Rostagno (nella foto a destra, tratta da it.wikipedia.org), tra i fondatori di “Lotta continua”, ucciso a Lenzi di Valderice, sempre nel Trapanese, il 26 settembre del 1988.

Il 26 gennaio del 2012, tornando al ‘caso’ del muratore di Alcamo, il procuratore generale della Corte d’Appello di Reggio Calabria ha chiesto il proscioglimento da ogni accusa di Giuseppe Gulotta. Un proscioglimento che si materializza del tutto il 13 febbraio dell’anno scorso.

E oggi? Dal 1976 ad oggi di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Solo che, mentre l’acqua passava, Giuseppe Gullotta, era in galera. Vittima di un’operazione stragista dove si intravedono le inquietanti ombre del passato. La vita di quest’uomo è stata distrutta. Perché non ci sono soldi che possono pagare 22 anni e due mesi di detenzione.

Il muratore di Alcamo, oggi cinquantenne, chiede allo Stato italiano 69 milioni di euro. Vedremo come finirà.

 

Redazione

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