Braccialetti elettronici anti-stalker, fondi a supporto di centri antiviolenza, case rifugio e per la realizzazione di «strutture specializzate socio-assistenziali per il recupero dei responsabili delle aggressioni». Sono alcune delle misure finanziarie e legislative per contrastare la violenza di genere e i femminicidi presenti nell’ordine del giorno approvato durante l’ultima seduta del Consiglio comunale di Catania. «Sono state proposte dai capigruppo – dice orgoglioso a MeridioNews il presidente Giuseppe Castiglione – per impegnare il sindaco, l’amministrazione, il presidente della Regione e anche il presidente del Consiglio dei ministri». Un tema che sembra unire anche ciò che la politica divide, visto che tutti e 27 i consiglieri presenti hanno dato voto favorevole. Finora, però, dalle parti di Palazzo degli elefanti sul tema non si è fatto molto di concreto. «Da parte del Comune non abbiamo mai ricevuto alcun tipo di supporto economico», lamenta la presidente del centro antiviolenza Thamaia Anna Agosta.
Adesso, però, qualcosa pare muoversi. Non solo l’iniziativa del Consiglio che, come non nasconde lo stesso Castiglione, «è nata dopo i fatti che sono avvenuti di recente nel nostro territorio». Il riferimento è ai femminicidi della 26enne Vanessa Zappalà, uccisa a colpi di pistola dall’ex compagno sul lungomare di Acitrezza, e della 46enne Ada Rotini, sgozzata in strada a Bronte dal marito da cui proprio quel giorno avrebbe dovuto ratificare la separazione. Due donne ammazzate da due uomini nella provincia etnea a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. Eventi che, probabilmente anche sull’onda dell’indignazione, hanno scosso le coscienze di molti, anche dei politici. «Dopo quegli episodi abbiamo scritto una lettera aperta indirizzata al sindaco Salvo Pogliese – racconta Agosta al nostro giornale – per rispondere a un post che aveva pubblicato». Una lettera in cui le attiviste della realtà locale che da vent’anni si occupa di violenza sulle donne, chiedevano spiegazioni in merito al fatto che il tema non sia mai stato inserito nelle previsioni di spesa del bilancio comunale, né nella programmazione dei Piani di zona né tanto meno dei fondi Pon Metro.
«Fino a quel momento – aggiunge Agosta – nessuno dei rappresentanti dell’amministrazione che avevamo contattato aveva risposto formalmente alla nostra richiesta di confronto. Dopo quella lettera, possiamo dire che si è aperta un’interlocuzione diretta che non era mai avvenuta prima. Ovviamente – continua – speriamo non restino solo parole». Anche perché è di fatti concreti che c’è bisogno per lavorare sulla prevenzione della violenza di genere, sulla formazione degli operatori e delle operatrici e sull’accompagnamento delle donne vittime. «Su un totale di oltre 1300 denunce di maltrattamenti in famiglia – dice la presidente di Thamaia con i dati alla mano – da noi sono arrivate appena 250 donne: meno di un quinto, e sono pochissime considerando anche che la situazione è ancora più grave perché a questi numeri vanno aggiunti tutti quelli del sommerso».
Al momento, il centro riesce a garantire 16 ore di apertura a settimana (mentre ci sono stati periodi in cui il progetto è stato finanziato duranti i quali il centro è riuscito a garantire anche 42 ore settimanali) e «siamo sempre a rischio chiusura – sottolinea Agosta – Se finora non è accaduto, è perché abbiamo avuto qualche finanziamento pubblico dalla Regione (che però quest’anno non ha ancora nemmeno pubblicato il bando) con cui siamo riuscite a pagare l’affitto della sede e le spese vive delle utenze e dell’assicurazione delle volontarie». Una resistenza delle donne per le donne. «Per questo chiediamo che si faccia attenzione anche sulle parole e sui progetti a cui destinare gli eventuali fondi: prima che ai finanziamenti per le strutture per uomini maltrattanti – fa presente la presidente – bisogna pensare a stabilizzare i centri che sostengono le donne in uscita dalla violenza. Inoltre, non si può parlare propriamente di “recupero” perché i dati ci dicono che per lo più gli stalker, gli aggressori e gli assassini non hanno disturbi psichici o dipendenze ma pretendono di esercitare il loro potere di uomini sulla libertà delle donne».
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