Impugnate anche le norme che avrebbero consentito la pubblicazione di bilanci e bandi nei giornali cartacei

L’UFFICIO DEL COMMISSARIO DELLO STATO HA DETTO ‘NO’ A NUOVI ONERI FINANZIARI CHE SAREBBERO STATI A CARICO DI COMUNI, CONSORZI DI COMUNI E SOCIETA’ REGIONALI. BLOCCATO ANCHE UN PASSAGGIO LEGISLATIVO UN PO’ DEMENZIALE CHE AVREBBE ASCRITTO AI DIRIGENTI GENERALI RESPONSABILITA’ CHE NON GLI COMPETONO

Un passaggio dell’impugnativa dell’Ufficio del Commissario dello Stato riguarda l’articolo 68 della legge sull’assestamento di Bilancio 2014 (Norme in materia di trasparenza e di pubblicità dell’attività amministrativa). Il passaggio merita di essere commentato, perché definisce il pressappochismo e irragionevolezza che, spesso, contraddistingue il Legislatore regionale.

Governo e Ars avrebbero voluto utilizzare circa 2 milioni di euro. Somme, si legge nell’impugnativa, che, in seguito al giudizio di parifica della Corte dei Conti, si sono trasformate in residui passivi (somme impegnate ma non utilizzate). “O, in caso contrario, economie di spese che hanno concorso alla formazione dell’avanzo di amministrazione accertato”.

Era così difficile sapere queste cose? Ci riferiamo, soprattutto, ai dirigenti dell’assessorato all’Economia, che di tali argomenti dovrebbero ‘masticarne’ un po’. Hanno avvertito l’assessore e i deputati, per evitare un’impugnativa da secondo anno d’università?

L’impugnativa del 5° comma è un po’ comica, perché è un parte giuridica e, in parte, legata alla logica. Cioè al buon senso.

Questo passaggio della legge di assestamento di Bilancio prevede la pubblicazione telematica di decreti dirigenziali entro 48 ore dalla data di emissione. “Il mancato rispetto del termine perentorio – recita la legge – causa la nullità dell’atto e la rimozione del dirigente responsabile del decreto”.

Articolo di legge impugnato dall’Ufficio del Commissario dello Stato con la seguente considerazione logica:

“Quest’ultima previsione non appare conforme al principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto verrebbe posto a carico del dirigente autore del decreto la responsabilità e la conseguente sanzione di un’inerzia eventualmente non propria ed esonerato il responsabile della stessa”.

Della serie: cari deputati dell’Ars, ma se l’atto non viene pubblicato che c’entra il dirigente generale?

Ulteriore spiegazione dell’Ufficio del Commissario dello Stato non da secondo anno d’università, ma da scuola media:

“La pubblicazione telematica dell’atto potrebbe, infatti, non rientrare nella sfera di azione del predetto, giacché comunemente tutti gli atti sono trasmessi, per l’inserimento nel sito telematico, ad un’altra struttura operativa tenuta a provvedere entro i termini previsti dalla legge. Al dirigente autore dell’atto verrebbero quindi addebitate le conseguenze della omissione o tardivo adempimento di altri soggetti che invece rimarrebbero privi di sanzioni”.

L’impugnativa dei commi 6 e 7 riguarda l’informazione. O meglio, se non abbiamo capito male, i giornali cartacei. Leggiamo insieme la norma che è stata impugnata:

6. Le società a totale o maggioritaria partecipazione della Regione pubblicano i bilanci, per estratto, su almeno due quotidiani e un periodico aventi diffusione regionale certificata a norma di legge.

7. Le disposizioni di cui al primo comma dell’articolo 6 della legge 25 febbraio 1987, n. 67 e successive modifiche ed integrazioni, trovano applicazione nell’ordinamento regionale. All’osservanza della presente norma sono obbligati la Regione, i consorzi di liberi comuni,le città metropolitane, i consorzi tra gli enti locali, le aziende del settore sanitario nonché le società a totale e maggioritaria partecipazione della Regione e degli enti locali.

8. All’articolo 4 della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12, dopo il comma 5, è inserito il seguente:

“5 bis. Fermo restando quanto stabilito al comma 6 in quanto compatibile, i soggetti di cui al comma 5 sono tenuti a rendere noto i dati di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma 5, mediante pubblicazione per estratto, a scelta della stazione appaltante, su due quotidiani a diffusione nazionale, su due quotidiani a maggior diffusione locale del luogo ove si eseguono i lavori e su un periodico a diffusione regionale. Le testate di cui al precedente alinea devono possedere i seguenti requisiti, alla data di entrata in vigore della presente legge:

a) non meno di cinque giornalisti iscritti al relativo albo professionale (sezione professionisti) tenuto ai sensi della legge 20 febbraio 1963, n. 69, assunti con contratto a tempo indeterminato;

b) attestazione di regolarità contributiva e previdenziale ai fini INPGI e CASAGIT;

c) non meno di tre anni di ininterrotta pubblicazione con diffusione regionale, con vendita in edicola sul territorio regionale;

d) attestazione di copie vendute, certificata a norma di legge.”.

9. Al comma 5, dell’articolo 4, della legge regionale n. 12/2011, dopo la parola “forniture” sono inserite le parole “l’autorizzazione, anche tacita, di subappalti, l’approvazione di perizie di variante”.

10. Al comma 6 dell’articolo 4 della legge regionale n. 12/2011, dopo le parole “ribassi d’asta” sono aggiunte le parole “ e sulla quota del fondo posto a disposizione delle stazioni appaltanti per le spese di pubblicità ai sensi dell’art. 178, comma l, lettera o del Decreto del Presidente della Repubblica n. 207/2010. La mancata comunicazione di tali dati è sanzionata secondo le modalità e nella misura fissata alla lettera b) del comma 5 della presente legge”.

In pratica, le società regionali, i Comuni e i futuri Consorzi di Comuni avrebbero dovuto pubblicare bilanci e bandi sui quotidiani, supponiamo cartacei. Norma impugnata con le seguenti motivazioni:

“I commi 6 e 7 del medesimo articolo – scrive l’Ufficio del Commissario dello Stato – sostanzialmente estendono le disposizioni di cui all’art. 6 della L. 25 febbraio 1987 n. 67 alle società a totale o maggioritaria partecipazione regionale e degli enti locali, ai Comuni con meno di 20.000 abitanti e ai consorzi tra enti locali, introducendo per gli stessi un nuovo onere e non dando al contempo indicazione delle risorse necessarie per farvi fronte”.

Insomma, sembra dire il Commissario dello Stato: i soldi chi li tira fuori? 

“Gli enti in questione – sottolinea l’Ufficio del Commissario dello Stato – appartengono tutte alla finanza pubblica allargata e pertanto, secondo quanto sancito da codesta Corte con sent. 92/1981, il legislatore è obbligato ad indicare i mezzi di copertura con cui fare fronte alle nuove spese introdotte, non potendoli riversare indiscriminatamente sui bilanci degli enti obbligati alle nuove onerose forme di pubblicità”.

Avete capito che avevano combinato i nostri amati deputati? Avevano deciso di far pubblicare, naturalmente a pagamento, bilanci e bandi di gara a società regionali, Comuni e Consorzi di Comuni (che ancora non ci sono e che, appena sarebbero stati formati, si sarebbero già trovati con un onere cui ottemperare). Caricando il conto da pagare sulle società regionali (quasi tutte in deficit), sui Comuni (quasi tutti in difficoltà finanziarie) e sui futuri Consorzi di Comuni (che dovrebbero vedere la luce tra Comuni con i bilanci in  ‘rosso fisso’).

Questo per quanto riguarda i bilanci. Non va meglio per i bandi, avvisi e altro. Scrive sempre l’Ufficio del Commissario dello Stato:

“Le forme di pubblicazione di avvisi, bandi e atti di gara ineriscono alle procedure di affidamento, secondo quanto acclarato da codesta Corte nella sent. 411/2008, e pertanto rientranti nella materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, 2° comma lett. e) Cost.”.

Ovvero: intanto la competenza è dello Stato. E poi deve essere rispettata la concorrenza e non l’individuazione dei soggetti da parte dell’Amministrazione.

“Le norme del predetto codice – si legge sempre nell’impugnativa – costituiscono un legittimo limite all’esplicarsi della potestà legislativa della Regione che si ritiene non possa adottare, per quanto riguarda la tutela della concorrenza, una disciplina con contenuti difformi da quella assicurata dal legislatore statale con il suddetto D.lgs 163/2006 in attuazione delle prescrizioni poste dall’UE (sent. C.C. n. 221/2010)”.

Quindi la chiosa finale: “Le diverse ed aggiuntive forme di pubblicità previste, obbligatorie per le stazioni appaltanti, comporterebbero inoltre oneri per le stesse (stazioni appaltanti ndr) discostandosi palesemente da quanto prescritto rispettivamente dagli artt. 66, comma 7 e 122 comma 5 del D.lgs 163/2006”.

 

 

Redazione

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