Imprenditore antiracket solo davanti ai debiti «Anche le istituzioni mi voltano le spalle»

«Gli usurai ci fanno terra bruciata intorno, escludendoci dal mondo finanziario. Le banche non ci fanno prestiti e la gente ha paura ad avere rapporti con noi, perfino nei ristoranti non siamo graditi. Anche le istituzioni, che dovrebbero darci una mano, non fanno nulla. Questa è la situazione di quanti come me hanno intrapreso la strada della denuncia». A parlare è Rosario Puglia, imprenditore vitivinicolo di Linguaglossa, che dal 2008 ha intrapreso la sua lotta contro l’estorsione e di recente è stato fatto oggetto di nuove minacce. «Un esempio emblematico di come viene trattato chi fa impresa qui da noi. Vittima degli usurai ma anche della pubblica amministrazione», lo ha definito il giornalista Marco Benanti, durante la conferenza stampa di stamattina. «Puglia, per aver denunciato, oggi rischia la sua vita ed è come un soldato in guerra, senza tutele né protezione», ha commentato l’avvocato Lina Arena.

Un passato come promotore finanziario, poi la passione per il vino e la decisione di avviare un’attività tutta sua: Le cantine Don Saro. «Certo, anche io ho commesso degli errori in passato – ammette Puglia – ma forse il più grosso è stato quello di aver creato questa azienda e di essermi fidato e aver avuto rapporti con persone che avevano solo l’intenzione di truffarmi. Ad un certo punto non ho potuto più sopportare e ho denunciato tutto». I presunti estorsori – Giovanni D’Urso, Salvatore Arrabito, Mario La Spina e Giuseppe Marzà – poco più di un mese fa sono stati rinviati a giudizio dal Gup Laura Benanti. Oggi all’imprenditore etneo, a parte la sospensiva per il pagamento dei propri debiti d’azienda in atto dal novembre 2010, toccherebbe un risarcimento di 750 mila euro, circa la metà del danno quantificato: 1 milione e 500 mila euro.

Fino ad ora, però, il finanziamento che salverebbe l’azienda di Saro Puglia non è arrivato. Le istituzioni, la città e gli amici lo hanno lasciato solo. E adesso anche il suo lavoro rischia di andare perduto. Da qualche giorno l’Enel, cui doveva circa 40 mila euro di arretrati, gli ha staccato la luce. E il viticoltore dell’Etna non può più lavorare.

Con la voce rotta dal pianto, dichiara «I veri imprenditori sono i miei dipendenti, che nonostante le difficoltà, non hanno mai smesso di curare le cantine. L’azienda è più loro che mia e io ho l’obbligo di portarla avanti per loro». Nonostante le ripetute minacce e intimidazioni – l’ultima una testa d’agnello e un coniglio sventrato dentro le cantine – a Puglia non è stata assegnata nessuna protezione. «Gli unici a starmi vicino sono i carabinieri di Linguaglossa e Randazzo. Ma non spetterebbe a loro fare il lavoro di sorveglianza», racconta con amarezza l’imprenditore, coraggioso e fragile allo stesso tempo. «Non temo per la mia incolumità ma per l’azienda. E mi sento responsabile per i miei 15 dipendenti che, come dei figli, in questi anni non mi hanno mai lasciato solo. Fino ad oggi non ho mollato ma adesso, senza corrente elettrica, ci è impossibile lavorare. Se in una settimana non verrà ripristinata, il vino andrà a male. Prevedo perdite per 200, 300 mila euro più le mancate consegne. Ma la Prefettura che avrebbe dovuto fare un’ordinanza per salvare la linea elettrica dell’azienda, mi risponde che devo arrangiarmi».

Puglia fa appello alle istituzioni perché, «anche se fino ad ora non ho avuto l’assistenza adeguata, credo ancora nel potere dello Stato e della Giustizia. E chiedo un aiuto concreto e in fretta. Perché intervenire quando tutto sarà perduto non avrà più senso».

 

Federica Motta

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