Immigrazione, siriani al Palacannizzaro «Nuove prigioni di cui avere paura»

Trovandomi davanti alla struttura del Palacannizzaro di Catania, dove un centinaio di siriani sono rinchiusi forzatamente, mi è venuto un senso di oppressione molto più forte di quella che sento quando passo davanti la prigione di Piazza Lanza. Ho sentito dolore allo sterno. Lo stesso dolore che provavo quando entravo nel Cara di Mineo, ma adesso la rabbia è più forte. E mi sono chiesta il perché? Mi sono chiesta perché da quel momento non ho pace, mi sento come se avessero arrestato mio fratello ingiustamente.

Giro per casa cercando una soluzione, penso e ripenso, chiamo gli amici, leggo la maledetta Convenzione di Dublino. Mi sono risposta che ormai ci aspettiamo e pretendiamo da noi stessi di assuefarci alle ingiustizie, alla violenza, alla crudeltà, alla sopraffazione, all’odio, al disprezzo; sembrano sinonimi, ma non lo sono. Ognuno di questi termini si manifesta in questo mondo in mille modi e con potenza diversa. E noi abbiamo imparato a girarci dall’altra parte con sempre più nonchalance, con più grazia, con più sottile malizia accompagnata dal pensiero “Per fortuna a me non succederà mai”. E quindi sono arrabbiata, ma felice. Non mi sono assuefatta. Mi incazzo, mi incazzo più di prima.

Mi aspetto che le cose migliorino, nutro speranza nel cambiamento. Ed è per questo che quando il poliziotto che presidiava il Palacannizzaro alle mia domande “Mi spiega a che titolo lei sta tenendo imprigionate queste persone? Questo è un palazzetto dello sport, cosa ci fanno cento persone da una settimana qui dentro?” ha risposto: “Non lo chieda a me, non sono io che decido. La legge è questa, io non posso farci niente”, sono rimasta come inebetita. Ci sentiamo intelligenti perché individuiamo e capiamo il problema, ma ci aspettiamo che ad agire sia qualcun altro. Ma chi? Esattamente chi dovrebbe lottare per cambiare delle leggi che risultano obsolete visto cha la migrazione mondiale è un fenomeno mai uguale a se stesso neanche di mese in mese? Il politico di turno, un ministro, l’impiegato alle Poste, il Messia, il Dodicesimo Profeta, chi?

Pigrizia mentale, anaffettività, insensibilità, disumanità, povertà emotiva. Queste sono le nuove connotazioni della grande e vecchia Europa. E l’Italia? L’Italia che in nessuna cosa si allinea al resto d’Europa, l’Italia dove non si pagano le tasse, non si rispettano le leggi, dove si lascia crollare Pompei, dove la donna crede di essere avanti e invece è più indietro che nello Yemen, dove ai ministri è quasi vietato dalla legge dimettersi qualunque sia lo scandalo o il crimine commesso, dove i poliziotti uccidono impuniti i ragazzi, questa Italia possiede tutte le connotazioni dette sopra. Bisogna mettersi nei panni di chi è ingiustamente rinchiuso anche solo un attimo. Credo che urlerei fino ad annichilirmi, sbatterei la testa contro i muri fino a svenire. Mi fa paura l’apatia, la costrizione, l’impotenza, la cattività. Eppure basterebbe pensarci anche solo due minuti.

Immedesimatevi. Immaginate. O vi hanno rubato anche la capacità di immaginare? Immaginate di farlo voi questo viaggio. Immaginate di scappare da una guerra, di avere dei figli, di intraprendere un viaggio in un barcone con altri cento, duecento disperati come voi, ammassati, assetati, affamati, spaventati, impauriti. Di andare verso una terra che non conoscete, di cui non conoscete la lingua. L’unica cosa che avete siete voi stessi, l’unica cosa che vi fa resistere è la speranza. Per questo si chiamano “viaggi della speranza”. Quando arrivate vi prendono e vi mettono in un luogo non ben definito, vi ammassano, vi fanno domande, e vi lasciano lì senza risposte alle vostre di domande. Non vi permettono di uscire, non sapete cosa ne sarà di voi, non sapete quando vi daranno una risposta, forse tra un anno o forse tra due. Vi danno un piatto di pasta, una coperta e buonanotte ai suonatori. Ma voi non volete rimanere lì, in quel paese, quello è un punto di passaggio perché la vostra meta è un altro paese, dove ci sono i vostri parenti, i vostri amici, che possono aiutarvi, possono confortarvi, possono ospitarvi. Ma non potete raggiungerli, non vi permettono di muovervi.

E dov’è allora la libertà? Vi avevano detto che in Europa i diritti fondamentali venivano rispettati. Ma il diritto di muovervi no. Ci sono stati degli uomini che tempo fa si sono riuniti e hanno scritto delle leggi. Leggi delle frontiere, leggi delle migrazioni, leggi di denaro e di potere. Non sapete che qui in Italia c’è il complesso di inferiorità rispetto agli altri paesi della grande Europa. L’Italia deve dimostrare che non è lo scolapasta che le rimproverano di essere. E questo viene prima delle vostre vite e delle vostre speranze. Se è qui che sei arrivato, è qui che devi rimanere. Ti costringono con le botte a farti prendere le impronte digitali. Mandano gli agenti in tenuta antisommossa, mandano un esercito di poliziotti, carabinieri, guardia di finanza. Dovete avere paura. Non basta la paura che avete dentro, che vi portate da dove scappate, la paura di morte. Dovete tremare. Abbiamo prefetti che per voi si danno da fare, fanno di tutto per far rispettare la legge transoceanica, la legge dei forti, la legge dei saggi che in giacca e cravatta e con i loro stipendi stellari siedono con i loro composti fondoschiena su comode sedie di pelle. E voi aspettate, aspettate che qualcosa succeda, che qualche anima pia di questo paese “civile” faccia qualcosa per tirarvi fuori. Invano. Non succede niente.

Le persone sono impegnate a capire se è giusta o meno la vostra presenza, se avete intenzione di rubare loro il lavoro, il piatto di pasta, se avete intenzione di rispettare la loro religione, se volete mischiare i pidocchi ai loro figli. Sono domande di un certo spessore, sono cose importanti. Mica hanno tempo per pensare all’altra faccia della medaglia.
Mica si pongono la domanda su quanto guadagni lo Stato su ognuno dei migranti che arriva, su tutto il giro di appalti, di prevaricazioni, di fondi e soldi chiesti per darvi quel piatto di pasta al giorno. Se queste dannate leggi sono giuste o no, se si può fare qualcosa per cambiarle, queste leggi che imprigionano vite, che le fermano. Quasi quasi vi direbbero che loro al vostro posto sarebbero rimasti lì a morire sotto le bombe. Qui non c’è da mangiare per loro figurarsi per voi! In Italia, spaventati dalla povertà relativa, quella che non ci permette di pagare le bollette o di comprare lo smartphone, ci si è dimenticati di cosa sia la povertà assoluta, quella che ci fa morire.

di Sanaz Alishahi

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Redazione

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