Immigrazione, la Marina spara sugli scafisti Operazione coordinata da procura di Catania

Il pomeriggio del 9 novembre a 500 chilometri a sud est di Capo Passero, in acque internazionali, la nave Aliseo della marina militare italiana sta inseguendo un’imbarcazione con a bordo 16 scafisti di origine egiziana. E’ ritenuta la nave madre che ha trasportato 176 migranti siriani vicino alle coste siciliane. Le operazioni sono coordinate dalla procura della Repubblica di Catania, titolare dell’inchiesta. Ad un certo punto dalla Aliseo partono una serie di raffiche di mitragliatore. Gli uomini della marina sparano sulla nave degli scafisti in fuga. Nessuno rimane ferito e il peschereccio con i trafficanti, dopo essere stata raggiunto, la mattina seguente affonda mentre viene trainato. La scena è stata ripresa da un cellulare, a bordo dell’imbarcazione militare. Il video è stato mostrato stamattina alla Camera dei deputati in una conferenza stampa organizzata dal Partito per la tutela dei diritti dei militari e dal Partito radicale.

«Dopo l’annuncio di questa conferenza stampa – spiega Luca Marco Comellini, ex maresciallo dell’aeronautica e segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari – la Marina ha ammesso di aver usato le armi come ultima ratio, ma le immagini parlano da sole. In una situazione di pace le regole d’ingaggio prevedono di usare la violenza bellica in situazioni limite a garanzia della vita, dell’incolumità del personale militare, a salvaguardia della sovranità del Paese e non in acque internazionali come in questo caso. Non risulta inoltre che vi sia stato uso della forza contro la nave Aliseo. Generalmente l’ingaggio avviene con l’abbordaggio da parte dei militari del battaglione San Marco sulla nave. In questo caso non è andata così». Il comandante della nave Aliseo, nelle ore successive al fatto, aveva affermato che la nave sarebbe affondata a causa delle condizioni di maltempo. «A noi viene qualche dubbio che invece la causa siano i colpi di mitragliatore, 25 al secondo», aggiunge Comellini. «Vorremmo capire da quando l’operazione Mare nostrum sia diventata Mare mostrum – continua Maurizio Turco, tesoriere del Partito radicale – la procura di Catania verificherà se quanto affermato sulle condizioni meteo è vero, noi abbiamo inviato il video anche alla procura militare di Napoli».

L’ammiraglio Pietro Covino, dirigente dell’ufficio generale della Marina Militare, afferma che «la procedura è in linea con la giurisdizione italiana e il diritto internazionale in materia di lotta all’immigrazione clandestina» e che «i colpi sparati sono stati di avvertimento». «La procura di Catania – spiega – conosceva l’operazione in atto da due giorni, che si avvaleva anche dell’uso di un sommergibile. Non appena la nave madre ha lasciato andare quella con i migranti a bordo, sempre con il coordinamento della procura, sono iniziate due operazioni distinte: una volta al soccorso dei migranti, l’altra all’arresto degli scafisti». L’ammiraglio sostiene quindi che i trafficanti hanno dimostrato un atteggiamento non collaborativo. «Non avevano alcuna intenzione di consentire l’ispezione della nave. Solo a quel punto sono stati sparati dei colpi di avvertimento, che avevano solo la volontà coercitiva di fermare la nave degli scafisti in fuga».

Di diverso avviso l’ex maresciallo dell’aeronautica Comellini. «I colpi dissuasivi devono essere sparati a prua dell’imbarcazione, mentre dal video si vede che gli spari avvengono a poppa», precisa. «In un paese civile – conclude Turco – le dimissioni dei vertici militari, del capo di stato maggiore della difesa e di quello della marina militare, sarebbero immediate, necessarie e irrevocabili». I 16 scafisti, di cui tre minorenni, nelle ore successive furono trasferiti a terra a bordo della nave Espero e sottoposti a fermo per ordine della procura etnea. I maggiorenni nel carcere di piazza Lanza, i minorenni in un centro di prima accoglienza. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Salvo Catalano

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