«Pensavo che lo avrebbero liberato in pochissimo tempo. Loro sanno che non è il Medhanie giusto». A pronunciare queste parole ai giornalisti del Wall Street Journal è un uomo eritreo che afferma di essere il vero Mered. Il Generale in persona, rintracciato attraverso uno dei due profili Facebook sui quali gli investigatori si sono basati per condurre le indagini, sembra aver smontato il castello di prove e accuse messo in piedi dai procuratori palermitani. Questo a poco più di un anno dall’arresto dell’uomo sotto processo a Palermo, che ha sempre affermato di essere Medhanie Tesfamariam Berhe, un ragazzo eritreo residente in Sudan che, magari, sognava l’Europa, come tanti dei suoi connazionali e che pare avesse iniziato a prendere contatti per avventurarsi nella traversata.
Un migrante che era già fuggito dal suo Paese e che a Khartoum di certo non conduceva una vita da signore del traffico di uomini, come dimostrano le fotografie concesse a MeridioNews dai suoi amici di una vita. «Un trafficante di migranti è sotto processo: cosa succede se è l’uomo sbagliato?». A porsi la domanda è ancora una volta il Wall Street Journal. «Che Dio lo aiuti», aggiunge l’uomo intervistato come vero Mered. Nell’articolo si parla di pressioni politiche, dell’Europa ansiosa di segnare sulla propria cintura la tacca di un arresto importante, specie alla luce dei numeri dei migranti trafficati e di quelli morti, soprattutto nel tragico naufragio del 2013 a un soffio dalla battigia di Lampedusa.
Intanto dell’uomo che ai giornalisti d’oltreoceano dice di essere Mered si sono praticamente perse le tracce: «Non ho residenza permanente, mi sposto da un paese all’altro» dichiara al Wsj, confermando inoltre quanto aveva detto a MeridioNews sua moglie, Lidya Tesfu, secondo cui il Generale avrebbe lasciato i galloni e il comando e avrebbe chiuso col traffico di esseri umani. «Se sono una persona cattiva» conclude il presunto Mered, uomo molto religioso, «andrò incontro a cose cattive».
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