Il vero Mered: «L’uomo in carcere non è un trafficante» Boss della tratta parla sui social, ma processo continua

Quello che per le autorità britanniche prima e per la procura di Palermo dopo sarebbe Medhanie Yedhego Mered, uno dei più pericolosi boss della tratta di esseri umani. Sarebbe in realtà ancora libero e avrebbe fatto sapere attraverso un account Facebook che corrisponde al nome di Meda Yedhego e a lui riconducibile, che il giovane attualmente detenuto presso il carcere Pagliarelli non sarebbe altro che la persona sbagliata: «Hanno fatto un errore con il suo nome, ma tutti sanno che non è un trafficante», avrebbe scritto, secondo quanto riporta il Guardian, il quotidiano inglese che ha reso nota la notizia, confermata da due fonti vicine all’uomo. Nel profilo è possibile, infatti, risalire anche alle fotografie del figlio del boss e ai messaggi scambiati in privato con la moglie Lidya Tesfu. «La notizia è assolutamente vera e risale a un paio di giorni fa», conferma a MeridioNews anche Michele Calantropo, legale dell’eritreo attualmente detenuto. La difesa dell’avvocato, infatti, sin dal giorno dell’estradizione in Italia a giugno scorso, si è sempre basata su un punto fondamentale: lo scambio di persona. Quello sotto processo sarebbe, secondo il legale, il ventinovenne Medhanie Tesfamarian Berhe.

«È una delle cose che volevo depositare oggi, ma non mi è stato permesso. Stesso discorso per le foto», dice ancora il legale, riferendosi alle immagini pubblicate sempre dal giornale inglese la scorsa settimana e che mostrano quello che dovrebbe essere il vero boss della tratta al matrimonio della sorella. «Le foto le ho avute da chi le ha scattate, ma non posso dire chi è perché teme per la sua vita», precisa Calantropo. Intanto il processo, che si sarebbe dovuto celebrare a partire da oggi, è stato rinviato a causa di un possibile problema di incompatibilità avanzato dal pm Geri Ferrara: «Il dottor Ziino – giudice a latere – aveva fatto il gip durante le indagini preliminari e aveva emesso i decreti di intercettazione, quando però il processo era ancora iscritto contro ignoti», spiega l’avvocato. «L’incompatibilità, però, deve essere specifica rispetto al fatto che mi riguarda, non può essere un’incompatibilità generica – riprende Calantropo – E quindi adesso dovrò andare a verificare decreto per decreto a quale numero di telefono si riferiscano le autorizzazioni di intercettazione decise proprio dal giudice Ziino. Sono certo che, nello specifico, non è un’intercettazione che riguarda condotte del mio cliente, ma le condotte dell’imputato di un processo parallelo e al quale sembra che il pm voglia accorpare il procedimento del mio assistito». 

Silvia Buffa

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