Siracusa, martedì 16 gennaio. Il palazzo dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico straborda. Fuori sta un nutrito gruppo di studenti del Corso di Laurea di Scienze dei Beni Culturali. Chiedo se sono lì per la conferenza. “La lezione” mi risponde uno tra i tanti. C’è altra gente fuori, e dentro è ancora peggio: le scale sono piene e lo spazio antistante la sala dove sta per iniziare la “lezione” è stracolmo. La gente si domanda dove sedersi perché, difatti, la sala è piena. I posti a sedere sono tutti occupati e anche quelli in piedi. Mi siedo a terra nel corridoio centrale e la conferenza ha inizio. Prima le introduzioni di rito, il presidente del consorzio Archimede, S. Baio, poi il sindaco G. Bufardeci, poi, finalmente Valerio Massimo Manfredi. È a Siracusa per un seminario, “Rapporto tra il mondo classico e le forme di comunicazione”.
Manfredi precisa che prima di iniziare la sua conferenza sul tiranno Dionisio il grande, dovrà concludere l’ultima lezione per i ragazzi di Scienze dei B.B.C.C. e, quindi inizia a parlare del rapporto tra il cinema e il mondo classico, di come quest’ultimo sia stato raccontato in modo a volte sublime, a volte disastroso, ma sempre attraverso letture “ideologiche”, parla di due film di cui ha curato la sceneggiatura: “L’ultima legione”, tralaltro da un suo romanzo, prodotto da Dino De Laurentis, uscita prevista a marzo e “Memorie di Adriano” dal libro di Marguerite Yourcenar, prodotto dal siciliano Enzo Peri.

Sono le 18:08 e lo scrittore inizia a parlare del “suo” Dionisio il grande. Fa una breve, ma illuminante, premessa riguardo il rapporto tra la letteratura e la storia, contrappone Omero a Tucidide, racconta di come per quest’ultimo la storia sia autopsia, e di come lo storico sia quindi “colui che sa perché ha visto”. E qui Manfredi alza il tono dicendo che Tucidide “ha torto marcio”, perché Omero è nella storia, ciò che dice non è vero ma è storia. “Omero non è mito ma epica”, e spiega di come lo scrittore, quale egli stesso è, attraverso il racconto di fatti accaduti, deformati e non più riconoscibili, vuole comunicare emozioni. Mentre la storia procede per problemi la letteratura procede per emozioni. Dove lo storico non ha abbastanza fonti e non può tirare delle conclusioni, tace. Lì lo scrittore continua, riuscendo a veicolare attraverso le emozioni, dei messaggi. Del resto, dice: “lo storico ha un suo essere oggettivo che è assolutamente soggettivo”. A questo punto riprende la narrazione “emozionale” del suo Dionisio, dalla eclissi di luna del 27 agosto del 413 a.C., che segna la sconfitta degli ateniesi contro Siracusa, passando per una serie di eventi reali, e supposte reazioni emotive del giovane Dionisio, attraverso la maturazione ideologica, politica e umana del futuro tiranno. Valerio Massimo Manfredi ci descrive quello che gli storici non ci regaleranno mai: l’uomo, le sue passioni, le sue emozioni.

Peccato per il cellulare che squilla proprio dieci minuti prima della conclusione, alle 18:52, mentre lo scrittore fa una veloce virata sul mondo politico e i Leghisti di Bossi e sulla loro scelta di far risalire le proprie radici ai Celti.
Proprio quei Celti che Dionisio aveva scelto come soldati al mercato di Ancona e che aveva indissolubilmente legato alla Sicilia attraverso il mito di Galatea ed Aci. Manfredi sorride e dice “l’ignoranza uccide più che la spada”.

Corrado Cannata

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